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La riscoperta dei classici ha alimentato quello che è diventato un caso letterario. «La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco» di Andrea Marcolongo (Laterza 2016) non è solo una scommessa per riflettere, a partire dall’inattuale, sulle fatiche e sulle prove anche dolorose che la vita riserva, sulla possibilità di affrontarle e superarle. È un libro per imparare a gioire e ad amare la vita attraverso lo studio, anche nella precarietà dell’esistenza, nelle vicissitudini sempre drammatiche che caratterizzano l’adolescenza. Come? Affidandosi a mondi «altri», come una lingua straniera – e in particolare una lingua antica –, lasciandosi spingere verso un nuovo repertorio di pensieri e azioni, a partire dalle particolarità di una lingua che in tanti definiscono «una lingua morta».

Strano a dirsi, questo libro sul greco antico può riservare delle sorprese anche per chi non ha studiato al Classico ma è interessato all’intercultura. Perché una lingua – quando è presentata in modo inusuale, cioè geniale – consente di avventurarsi, di imparare a conoscere e di abitare un mondo sconosciuto. È come in un gioco di specchi che – per differenza – restituiscono consapevolezza e riflessione su ciò che sembra essere scontato: la realtà cioè va interpretata e non va mai presa per come si presenta a prima vista. E l’interpretazione porta al confronto e alla discussione. Ecco che allora categorie come spazio e tempo, generi come singolare, duale e plurale, possono restituire la realtà più luminosa e colorata, piena di sfaccettature.

Il libro accompagna i lettori in un viaggio dentro la lingua greca, attraverso lo stile e la curiosità di una giovane trentenne, cosmopolita e appassionata ad altre culture e lingue. Che il greco possa diventare un’occasione di scambio interculturale proprio non ce l’aspettavamo e invece può davvero aprire le menti e rendere più accoglienti verso l’altro, anche quando si tratta di «barbaroi», cioè balbuzienti, ovvero non conoscitori della lingua greca. Questo libro accoglie tutti e conduce su nuovi sentieri.

Anche a Pinerolo vi è una riscoperta dei classici, grazie alla Fondazione Cosso, e il coinvolgimento delle scuole superiori ha permesso a numerosi studenti e studentesse di misurarsi con una particolare versione di «Ulisse», un concerto tratto dall’opera di Claudio Monteverdi ma reinterpretato dai musicisti che collaborano nel progetto Avant-dernière pensée: un discorso sull’uomo, sulle fragilità dell’esistenza e sui confini da attraversare in ogni viaggio migratorio, nella speranza del ritorno. A metà febbraio vi è stata una replica a cui ho potuto partecipare con grande gioia: i visitatori hanno attraversato le diverse stanze del castello, ascoltando musica, leggendo testi proiettati sulle vele di una nave, guardando immagini di danza: tutto questo ha trasformato la fruizione dello spettacolo in un’esperienza personale. In una lingua si può entrare per esplorarne significati e modi di guardare al mondo e lo spettacolo al castello di Miradolo ha consentito di entrare nella trama narrativa di un «Ulisse» che vive dell’incontro con gli altri e delle prove che attraversa, metafora del viaggio, dell’esistenza, della vita.

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