Lunedì 20 febbraio la Grecia è tornata sulle pagine di molto giornali italiani: l’allarme lanciato dalle istituzioni economiche europee a proposito dell’esaurimento della liquidità nelle casse di Atene a partire da luglio ha fatto pensare a un improvviso peggioramento delle condizioni economiche. Lo stesso giorno i rappresentanti dell’Eurogruppo, cioè i ministri delle Finanze dei Paesi che adottano l’euro, si sono accordati con il Fondo monetario internazionale per far sì che torni in Grecia una missione congiunta dei creditori, assente da circa un anno.
L’Eurogruppo e l’Fmi avevano infatti interrotto la loro collaborazione perché il secondo ritiene dal 2016 che il debito greco non sia più sostenibile, e ha chiesto al primo di ridurne gli interessi e di garantire tempi più lunghi per il pagamento, in cambio di nuove riforme da parte di Atene. Tuttavia, da parte dei Paesi europei, una simile concessione sarebbe molto difficile da spiegare ai propri elettori in un anno in cui cambieranno i governi di Germania, Francia e Paesi Bassi.
In seguito all’accordo di lunedì la Grecia potrebbe ottenere una nuova serie di aiuti per circa 7 miliardi di euro. Tuttavia, per la popolazione greca la paura di nuove misure di austerità si è fatta concreta. Per protestare contro questo accordo, nella notte di martedì sono scesi in piazza circa 5.000 manifestanti, che davanti al Parlamento hanno chiesto che il governo guidato da Alexis Tsipras rifiuti una nuova collaborazione, che si teme possa mettere in crisi il tessuto sociale del Paese.
Secondo Margherita Dean, corrispondente dalla Grecia per Radio Popolare, «i conti non sono peggiorati ulteriormente negli ultimi tempi».
Quindi qual è la situazione attuale dei conti?
«La Grecia in questo momento ha liquidità fino a luglio, per di più delle buone previsioni di bilancio sia per la chiusura del bilancio del 2016 sia per il 2017. Il problema però è che questo non avviene grazie allo sviluppo economico, ma alla tassazione che in questo ultimo anno e mezzo è aumentata tantissimo, creando per lo Stato un “cuscinetto” tale per cui ora si può presentare davanti ai creditori affermando di aver “fatto i compiti”, il che è vero, almeno per le famose riforme chieste dai creditori. Il problema, però, è che almeno fino all’Eurogruppo di lunedì questi interventi sono sempre stati in linea con il dogma dell’austerità, quindi composti da tagli alle pensioni, agli stipendi e alla spesa pubblica».
L’austerità sembra non bastare mai. La nuova missione congiunta dei creditori porterà ancora più tagli?
«No, in realtà lo sviluppo dell’Eurogruppo di lunedì è stato importante e in un certo senso molto innovativo: in sostanza i creditori della Grecia hanno riconosciuto, pur non dicendolo apertamente, che l’austerità da sola ormai non può più bastare, e quindi se la Grecia da una parte si è vista costretta a promettere misure future dal 2019 in poi nel caso che gli obiettivi non vengano raggiunti, d’altra parte ha però ottenuto che queste misure non andranno a intaccare le tasche dei cittadini greci, per cui non saranno tagli. In un certo senso è come se ci fosse stato un piccolo passo indietro rispetto al dogma dell’austerità che abbiamo conosciuto fino a oggi, introducendo la possibilità di misure differenti e dando quindi alla Grecia la possibilità di ampliare il discorso su misure che siano di riforma strutturale, che non siano quindi semplicemente dei calcoli a tavolino sulle tasche dei soliti, cioè i contribuenti».
In qualche modo si è arrestata questa discesa delle condizioni di vita?
«Direi proprio di no, perché la disoccupazione rimane altissima, oltre il 25%, e quindi in una situazione del genere è per esempio impossibile parlare veramente di pensioni: nessun sistema pensionistico, infatti, può pensare di sopravvivere con una disoccupazione a questo livello. Il fatto è che non c’è nessun tipo di sviluppo e quindi si vive in sostanza riciclando i propri debiti rispetto al fisco e alle banche. Un grande problema che è sotto gli occhi di tutti ma che non è ancora esploso, e spero non succeda a breve, è quello del debito privato nei confronti delle banche; nel frattempo però è esplosa la questione del debito delle imprese verso le banche, cosa di cui sono molto consapevoli i creditori e soprattutto il fondo monetario internazionale».
Questo come si ripercuote sui cittadini?
«Diciamo che le scene di persone che cercano tra la spazzatura o tra le cose che vengono gettate al termine dei mercati rionali purtroppo continuano a essere quotidiane. Bisogna però anche dire che questo governo ha fatto e fa il possibile, per cui per esempio a dicembre ha garantito un’indennità, che somiglia a una piccola tredicesima, un piccolo supporto per i pensionati, scatenando le ire dei creditori che hanno fortemente disapprovato, finché il ministro delle Finanze non ha chiesto ufficialmente scusa con una lettera indirizzata a Bruxelles. Insomma, la situazione continua a essere molto pesante, tant’è vero che per esempio la società elettrica e quella dell’acqua continuano a più riprese a proporre dei programmi per cui si può rateizzare il debito per chi ha delle pendenze superiori ai 500 euro, quindi questo è uno spaccato abbastanza chiaro della realtà in cui si vive e in cui vivono la maggior parte dei greci».
Pensare a un sistema economico fondato sul debito fa paura, perché ci si aspetta che possa venire giù come un castello di carte da un momento all’altro. Il governo di Tsipras si era imposto promettendo un contrasto al dogma dell’austerità. Il credito di cui poteva godere appena eletto esiste ancora?
«Stando ai sondaggi no. L’esperienza politica di Syriza è consumata, defunta, nel senso che è sorpassato con percentuali tra il 10 e il 15 per cento da quello che oggi è il secondo partito, il centrodestra di Nea Dimokratia. C’è anche da dire che la disillusione è stata molto grande e in particolare c’è stato un episodio molto strano che sarà la storia a dover capire e spiegare un giorno: ricordo che nel luglio del 2015 Tsipras indisse un referendum chiedendo ai greci se volevano sottostare alle condizioni proposte dai creditori oppure no, quello che era il terzo memorandum. I greci risposero di no. Ecco, questo “no” divenne un “sì” in una notte molto sofferta di trattative lunghissime tra Tsipras e i creditori. Questo momento è stato fondamentale per creare una certa disillusione e diffidenza degli elettori verso Tsipras, che poi e tornato al governo nel settembre 2015 dopo aver di nuovo vinto le elezioni, portando con sé un’ombra che è diventata sempre più spessa. Non so se sarà in grado prossimamente di riconquistare un po’ di spazio politico, ma in questo momento sicuramente non ce l’ha».
Se ci fosse stato qualcun altro, per esempio un’altra maggioranza, un’altra leadership o semplicemente un altro nome, sarebbe andata diversamente?
«Secondo me no. Nessuno poteva fare altro, nel senso che le decisioni non passano da Atene, ma da altrove, quindi se la politica economica dev’essere quella imposta da determinati centri, quella è. Che poi ci sia una persona o un’altra, in fondo è risultato non essere molto importante».