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Con una maggioranza netta ma non schiacciante, venerdì 16 dicembre le due camere del Parlamento svizzero hanno votato una legge che recepisce e applica l’iniziativa popolare “contro l’immigrazione di massa”, approvata dai cittadini svizzeri il 9 febbraio del 2014.

L’iniziativa, promossa quasi tre anni fa dal partito di destra Udc, sigla che indica l’Unione democratica di centro, chiedeva che venissero introdotte delle limitazioni all’immigrazione e alla libera circolazione delle persone anche se provenienti dall’Unione Europea, ma la legge di applicazione, votata dal Parlamento, ha di fatto ridotto la portata della richiesta all’indicazione di dare la precedenza ai disoccupati svizzeri quando si cercano nuovi lavoratori.

Il via libera, arrivato poco prima della scadenza dei termini per la traduzione dell’iniziativa in legge, che per i voti confederali in Svizzera è di tre anni, è stato dato in particolare dal Partito socialista e dal Partito liberale, le due formazioni politiche che hanno dominato la scena nazionale prima dell’imponente crescita nei consensi dell’Udc.

Soddisfatta l’Unione europea, che temeva le complicazioni di un’applicazione più letterale, che avrebbe posto un freno alla libera circolazione delle persone e avrebbe imposto di rinegoziare i rapporti con la Confederazione elvetica, mentre i promotori dell’iniziativa hanno minacciato un rapido ritorno alle urne. Lo storico e giornalista Roberto Roveda, collaboratore del settimanale Ticino7 e della rivista di geopolitica Limes, spiega che «il Parlamento svizzero ha deciso di sfruttare la genericità dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa, che non dava indicazioni precise su come applicarla». In effetti, l’iniziativa non poneva in modo esplicito dei limiti o dei tetti alla circolazione dei lavoratori, «il Parlamento – continua Roveda – ha pensato di riprenderne soltanto lo spirito, che diceva che bisogna trovare un modo per limitare questa immigrazione e l’ha applicata in maniera molto formale».

Quali sono le novità che vengono introdotte?

«Si è deciso di dare un’indicazione ai datori di lavoro, cioè prediligere i lavoratori svizzeri nel momento in cui cercano nuova forza lavoro. In sostanza i datori di lavoro dovranno fare dei colloqui prima di tutto ai disoccupati svizzeri prima di chiamare dei lavoratori stranieri. Detto questo, potranno poi comunque decidere di chiamare un lavoratore straniero, perché non ci sono altre indicazioni più stringenti».

Diciamo che è un’applicazione molto parziale di quello che erano le richieste. Quali sono le reazioni politiche?

«L’applicazione, che è andata intenzionalmente ad annacquare e disinnescare l’iniziativa del 2014, ha provocato nell’Udc, il partito che l’aveva promossa e sostenuta, la classica reazione di chi si è reso conto che il voto non andava nella direzione da loro richiesta. Il fatto stesso che la legge di applicazione sia stata votata dal Partito socialista e dal Partito liberale, cioè le due formazioni che più si erano opposte all’iniziativa, e che invece sia stata rifiutata dall’Udc, è indicativo. In sintesi, la reazione dell’Udc è stata quella di accusare il Parlamento di aver tradito la volontà popolare. Oltre a questo ha anche annunciato la preparazione di una nuova iniziativa popolare ancora più estrema, che vada quindi a chiedere la limitazione totale della circolazione delle persone e non solo dei lavoratori o degli immigrati lavoratori».

A livello di iniziative popolari su un piano confederale non ci sono quindi limitazioni? Se si è già votato su un tema si può votare nuovamente a breve distanza di tempo?

«I vincoli ci sono, ma l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” era rivolta alla questione dei lavoratori. Nel momento in cui l’Udc chiede di votare un’iniziativa sulla libera circolazione delle persone, che quindi estremizzando possono essere anche il turista o chi va in Svizzera per fare acquisti, è chiaramente una richiesta formalmente diversa. L’iniziativa del 2014 era molto generica ed era stata studiata per pungolare il governo in una determinata direzione, oggi invece l’Udc cerca di bloccare la libera circolazione delle persone e pensa addirittura all’ipotesi di arrivare alla rottura con l’Unione europea. Che poi lo facciano oppure no, questo è ancora tutto da capire».

Che cosa cambia nei rapporti con l’Unione europea a questo punto?

«L’Unione europea ha sempre mantenuto nei confronti della Svizzera una politica molto chiara: non si tratta, non si intavolano trattative, e se si vogliono cambiare le cose vanno rinegoziati i patti bilaterali. Diciamo che in quest’occasione la posizione rigida dell’Unione europea è stata premiata, al punto che Bruxelles si è detta soddisfatta di come la Svizzera ha trasformato in legge l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa”. Insomma, dal punto di vista dei rapporti non cambia niente, si va avanti nella direzione già indicata, senza rotture e non ci sono problemi con l’esterno. Ben diverso il discorso interno: adesso i problemi sono tutti svizzeri».

Questo porterà a un dibattito sempre più infiammato, soprattutto nei cantoni più critici verso l’immigrazione, come quello ticinese. Si va verso un’ulteriore radicalizzazione della discussione pubblica su questo tema?

«Quello che sta accadendo va certamente in direzione di una radicalizzazione, ma è anche vero che si deve arrivare al punto che l’Unione democratica di centro e la Lega dei Ticinesi vengano allo scoperto: l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” era forse più una provocazione, ma a questo punto anche queste formazioni devono uscire allo scoperto e dire veramente cosa vogliono. Il desiderio è quello di rimanere in relazione privilegiata con l’Unione europea, con tutti i problemi che questo comporta, o si vuole una Svizzera realmente isolata, con tutti i problemi che questo comporta? La radicalizzazione del dibattito e delle iniziative ci sarà, ma è anche vero che questo è il momento di fare chiarezza all’interno della politica e della società svizzera, sia in termini politici sia in termini di percezione del fenomeno migratorio».

A questo punto, visto che l’Udc ha promesso di presentare una nuova iniziativa popolare, realisticamente quando si tornerà sul tema?

«I tempi sono abbastanza lunghi: prima bisogna presentare un’iniziativa popolare, poi raccogliere le firme, che non sono poche, quindi bisogna attendere che la proposta venga valutata e si decida se può essere discussa, infine bisogna metterla in cantiere. La mia impressione è che il Parlamento svizzero abbia voluto principalmente rimandare il problema almeno di tre o quattro anni, perché anche nel momento in cui l’iniziativa passasse ci sono 36 mesi per applicarla. In sostanza hanno rimandato il problema, hanno disinnescato una bomba ad orologeria che era scattata in maniera imprevista, perché la stessa Udc non credeva di poter vincere quell’iniziativa popolare. Adesso se i partiti isolazionisti vogliono rilanciare lo possono fare, ma ci vorranno anni».

Immagine: via flickr.com

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