Il Gambia, una piccola repubblica presidenziale completamente circondata dal Senegal, all’inizio di dicembre è stato protagonista di una tra le più grandi sorprese politiche degli ultimi anni in Africa. Il Paese, ex colonia del Regno Unito, da cui ha ottenuto l’indipendenza cinquant’anni fa, negli ultimi 22 anni era stato governato da una sola persona, il presidente-dittatore Yahya Jammeh, salito al potere nel 1994 e da allora in grado di conservarlo, in modo più o meno legale, attraverso metodi sempre più autoritari. Il Paese, segregato e in polemica con tutte le principali istituzioni internazionali, che sono arrivate anche a sospendere gli aiuti a causa delle continue violazioni dei diritti umani da parte di Jammeh, negli ultimi anni è stato al centro di una grave crisi economica e occupazionale, che ha fatto da acceleratore alla fuga verso l’Europa, fino al punto per cui oggi i cittadini gambiani sono il secondo o terzo gruppo nazionale per numero di richieste d’asilo in Italia.
Giovedì 1 dicembre, tuttavia, le elezioni presidenziali che si sono tenute in Gambia hanno premiato Adama Barrow, un imprenditore di 51 anni sostenuto da un fronte trasversale di partiti di opposizione. «Se io o molti altri osservatori fossimo stati degli scommettitori – commenta Enrico Casale, redattore di Rivista Africa, bimestrale dei Padri Bianchi dedicato al continente africano – non avremmo mai puntato sulla vittoria di Barrow».
Perché è una sorpresa così grande?
«Lo è non tanto perché non si percepisse la volontà da parte dei gambiani di cambiare, ma soprattutto perché il presidente uscente Yahya Jammeh, che cercava la riconferma per il quinto mandato, era uno dei presidenti-dittatori più autoritari e più duri di tutta l’Africa occidentale, e quindi nessuno avrebbe scommesso sull’ammissione della sua sconfitta. Invece Jammeh ha riconosciuto la vittoria di Barrow e ha fatto un passo indietro, accettando di lasciare la presidenza e affermando che Barrow avrà la possibilità di governare. È una grande novità anche perché dà molta fiducia nel futuro del Paese e in prospettiva anche dell’Africa».
Rukmini Callimachi, storica corrispondente dai Paesi africani per Associated Press, oggi al New York Times, ha affermato che per l’Africa l’elezione di Barrow sarà “un terremoto” politico. Lo sarà davvero?
«Credo di sì, innanzitutto perché Barrow ha subito affermato che si concentrerà sulla ripresa economica del Paese. Tenete presente che il Gambia è uno dei Paesi più poveri della regione. Barrow cercherà di rilanciare il Paese, probabilmente in accordo col Senegal, che è il “fratello maggiore” che circonda il Gambia, e punterà anche sul rilancio del turismo, soprattutto sull’Oceano Atlantico. In secondo luogo c’è un altro elemento di rottura che è forse il principale rispetto al passato: Barrow infatti ha annunciato che rivedrà le decisioni prese da Jammeh di uscire dal Commonwealth e di uscire dalla Corte Penale Internazionale. Oltre a queste scelte, Jammeh aveva anche preso la decisione di trasformare il Gambia in una repubblica islamica, e questo merita qualche parola: pur essendo un credente in un Paese a netta maggioranza musulmana, Jammeh non era un fondamentalista islamico, ma quando l’Europa aveva tagliato i fondi a causa delle violazioni dei diritti umani il presidente uscente aveva deciso di cercare nuovi fondi nei Paesi musulmani, sia tra quelli del Golfo sia in Iran. Ora anche questa decisione potrebbe essere rimessa in discussione».
Con una vera transizione democratica anche il flusso migratorio verso l’Europa si potrebbe trasformare?
«Se Barrow riuscirà a rilanciare l’economia e soprattutto garantirà maggiori diritti democratici alla popolazione, i cittadini non avranno più bisogno di fuggire, per cui probabilmente potrebbe invertirsi la tendenza. Certo, non sarà un risultato che vedremo nelle prossime settimane e neanche dei prossimi mesi, ma possiamo immaginarlo nel corso dei prossimi anni. Se il Gambia dovesse davvero essere rilanciato nel modo giusto sono sicuro che i gambiani rimarranno o torneranno nel loro Paese e non emigreranno più. Questo lo dico con speranza, non tanto per noi europei, quanto ovviamente per la popolazione gambiana».
Barrow avrà davvero la possibilità di governare?
«Il passo indietro di Jammeh una volta annunciato è irreversibile. Spero e penso di non sbagliarmi, ma il fatto che Jammeh abbia affermato che sosterrà e aiuterà Barrow nel periodo di transizione va considerato senza dubbi un elemento positivo. È vero che Jammeh è un personaggio abbastanza strano e vulcanico, però credo che a questo punto, dopo l’accettazione della vittoria dell’avversario, il processo sia avviato e credo che difficilmente si possa tornare indietro».
Cosa può essere scattato nella testa di Jammeh per aver deciso di fare un passo indietro di questo tipo?
«Probabilmente ha capito che non poteva più forzare la mano, perché il Paese gli si sarebbe rivoltato contro. Teniamo presente che in Gambia c’era già stato un recente tentativo di colpo di Stato e che Jammeh l’aveva represso molto duramente, incarcerando e torturando gli oppositori che avevano cercato di scalzarlo dal potere. Jammeh aveva già il sentore che qualcosa intorno a lui stesse cambiando, che non ci fosse più quel consenso che spesso i dittatori sentono. Di conseguenza, probabilmente è scattato qualcosa in questo senso».
Questo voto rappresenta la fine di una dittatura. Potrebbe essere l’inizio di un nuovo e più ampio processo democratico anche fuori dal Gambia?
«La speranza è che si tratti del primo passo di un processo che porti alla caduta o al superamento di diversi regimi africani che continuano a esistere da numerosi anni. Pur esistendo diversi punti critici e diversi Paesi in condizioni estremamente difficili, il processo democratico in Africa è tutt’altro che fermo. Speriamo che l’esempio del Gambia e, perché no, anche quello di Jammeh, riescano a creare un precedente positivo».
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