«Se non si definisce quali siano le vere esigenze delle minoranze in Siria e nel Nord dell’Iraq, si corre il rischio non solo di non aiutare ma di costruire dei nuovi muri, invece che ponti», ha rilevato il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), il pastore Olav Fykse Tveit, nell’annunciare il documento congiunto redatto dal Cec insieme alla Norwegian Church Aid (Nca) ieri, 28 novembre a Oslo, in Norvegia.
«Un paio di scarpe è necessario a tutti, ma non è detto che lo stesso paio possa essere calzato da ogni piede, ne serve uno per ogni misura», prosegue Tveit.
Lo stesso vale per gli aiuti umanitari: «Che sì, sono necessari, ma devono essere adattati alle necessità, se si intende fare del bene. Spesso, invece, gli aiuti elargiti non sempre sono adatti alle diverse situazioni e alle vere necessità; in Siria e in Iraq settentrionale, ad esempio, non è sempre facile poter capire quale aiuto possa essere più idoneo», ricorda lo studio firmato congiuntamente dalla segretaria generale dell’Nca, Anne-Marie Nørstelien Helland e da Olav Fikse Tveit.
«Una donna cammina solennemente per una stanza in visita al Tempio sacro per tutti gli Yazidi.Vi è andata per purificare se stessa. Solo poche persone possono capire veramente a quali orrori la donna è stata sottoposta proprio perché Yazida. Da quel Tempio, però, lei potrà finalmente incamminarsi verso nuovo inizio».
La donna evocata dai leader religiosi esiste veramente e appartiene ad uno dei numerosi gruppi di minoranza che la Norwegian Church Aid (Nca), sta aiutando in Siria e nell’Iraq settentrionale.
«Gli yazidi residenti nel Nord dell’Iraq sono stati i più vessati e dunque sono tra i più vulnerabili – ricordano Helland e Tveit– . Le Nazioni Unite usano una parola chiara per definire il loro calvario: “genocidio”. La metà dei 500.000 Yazidi in Iraq sono sfollati e, migliaia di loro, sono stati uccisi. Anche la minoranza cristiana è perseguitata ed è in fuga da quelle zone. Eppure – si legge con stupore –, la comunità più colpita dagli orrori della guerra è proprio quella musulmana», rileva il documento.
Nel rapporto della Nca e del Cec si sottolinea, anche, che il lavoro di soccorso e di aiuto dato alle popolazioni bisognose e vulnerabili deve assolutamente tenere presente un fattore importante: la diversità etnica, culturale e religiosa dei rifugiati. Tutte le diversità devono infatti essere: «comprese e rispettate – prosegue il testo – se vogliamo giungere a soluzioni efficaci. Se non usiamo le “scarpe giuste”otterremo dolore e nuove vesciche».
Per la stesura del rapporto sono stati incontrati 4.000 rifugiati:«provenienti da diversi background sia in Siria che nell’Iraq settentrionale. Paesi dove, storicamente, hanno convissuto molte minoranze religiose; paesi che hanno dovuto subire i peggiori conflitti della recente storia del mondo». Proprio dalla percezione di «sicurezza raggiunta» – si legge ancora nel testo Cec, Nca – «può emergere un dato significativo e indicativo, ossia quanto l’aiuto portato alle popolazioni bisognose sia stato effettivamente utile. In Siria e nell’Iraq settentrionale ci sono infatti molti gruppi etnici differenti e, nel corso della storia, molti conflitti sono intercorsi proprio tra queste popolazioni. Dunque, non è possibile risolvere in modo generalizzato e indiscriminato, senza valutare le diverse sensibilità, i problemi tutti allo stesso modo, una cosa che purtroppo invece avviene nella maggior parte dei Campi profughi. Come garantire la libertà religiosa, ad esempio, o tenere ben presenti le diversità di genere e generazionali».
Il rapporto, «attraverso le sue analisi», dicono Cec e Nca: «potrebbe essere uno strumento prezioso per tutte le organizzazioni umanitarie che sono impegnate in percorsi di aiuto e di pace in territori martoriati da guerre e difficoltà». È necessario che le prospettive di lavoro e di azione siano sviluppate ne tempo e con una visione a lungo termine: «per tutto ciò che si decide di intraprendere e di fare, soprattutto, quando ci si avvicina in aree complesse come quella del Medio Oriente». I piani mal elaborati – si legge ancora –, o fatti sulla scia della pura emergenza «potrebbero creare ancor più danni, nel lungo periodo», così conclude la relazione Studio sul coordinamento degli sforzi umanitari per proteggere le minoranze delle popolazioni irachena e siriani.