Presidenziali Usa: l'importanza del fattore religioso
24 ottobre 2016
Il voto degli ambienti «evangelical» non andrà necessariamente a Donald Trump
I dibattiti presidenziali sono finiti. L’audience è stata elevatissima, più alta della finale di football americano. In questo Trump è stato fedele alle aspettative: trasformare la campagna elettorale in uno show televisivo ricco di capovolgimenti e colpi di scena. D’altra parte lo scopo della sua candidatura è di promuovere il suo marchio, il suo nome, e c’è riuscito. Può dire di aver già conseguito il risultato. Ma nell’ultimo dibattito, pur mantenendo un atteggiamento aggressivo, è sembrato entrare di più nel merito dei progetti politici. In politica interna ha cercato di recuperare la destra evangelical promettendo, tra l’altro, una cosa molto importante: la nomina di una corte suprema che sovverta la legislazione che consente l’aborto e i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
E questa mossa ha indirettamente rivelato il punto debole della sua campagna: l’aver perso una parte del sostegno dei repubblicani (soprattutto le donne) e di una parte degli evangelical (soprattutto i più giovani). Potrebbero essere questi due gruppi a decidere sulla presidenza del miliardario newyorkese.
C’è molta rabbia nel fronte conservatore. Peter Wehner, editorialista del New York Times, ha lavorato per tre amministrazioni repubblicane, è stato consigliere di Bush: «Il Partito repubblicano si sta dissolvendo. Ha nominato come candidato una persona imprevedibile, di un’ignoranza sorprendente e che non è un vero conservatore. È incontrollabile e si sta comportando in un modo che non solo fa affondare la sua campagna elettorale, ma sta distruggendo la reputazione del Partito repubblicano».
Eppure molti cristiani evangelical lo hanno sostenuto e lo sostengono nonostante gli scandali sessuali, le accuse di violenza sessuale, la proposta del muro con il Messico, le offese ai disabili, ai messicani chiamati assassini e violentatori. «Credo che Donald Trump sia seguace di Nietzsche piuttosto che di Gesù Cristo. Disprezza i loser, gli sconfitti, i deboli e le persone prive di potere. Non credo che sappia che cosa sia il bene comune, ritengo che non abbia alcun interesse nella giustizia sociale. Aver visto alcuni evangelical e credenti cristiani fare campagna elettorale per lui, è stato motivo di sconforto. Trump è lontanissimo dalla fede cristiana nella quale io credo» (Weener è presbiteriano, ndr).
Da Washington scendiamo più a sud. Il Nord Carolina è uno degli Swing States, quelli cioè che sono tradizionalmente incerti tra democratici e repubblicani e che quindi alla fine decideranno chi andrà alla casa Bianca. Wake Forest è il grande campus del seminario teologico della Convenzione battista del Sud-Est, una roccaforte del conservatorismo evangelical. Più di 3000 studenti si preparano a guidare le 45000 comunità battiste conservatrici oppure andare in missione. Daniel Akin, il presidente, ha sempre votato repubblicano. Il suo leader preferito era Reagan, ora ha cambiato idea:
«Numero uno: La personalità del candidato. Numero due: come si pone nei confronti del tema della vita e in particolare dell’aborto. Tre: la posizione nei confronti del matrimonio e, nello specifico, sulla santità del matrimonio eterosessuale. Quattro: la libertà di religione, cioè la possibilità di rifiutare un servizio per questioni di coscienza, ad esempio consentire a un fioraio di non vendere corone di fiori per un matrimonio gay. Sulla base delle posizioni dei candidati su questi temi io scelgo chi votare. Non ho alcun dubbio che se Hillary Clinton sarà eletta, sarà un fatto negativo per persone come me che sono teologicamente evangelical e credono fermamente nella libertà di religione. Donald Trump dice che difenderà la nostra libertà. Ma se mi chiede se ho fiducia in lui, se credo che lo farà, le rispondo di no».
Questa – chiediamo – è la sua posizione personale o riflette la maggioranza del sentire dei battisti del Sud?
«Noi ufficialmente non possiamo sostenere un candidato – prosegue Akin – ma siamo abituati a prospettare ai nostri parrocchiani i fatti e le posizioni dei candidati. Le conseguenze le traggono loro. Ho molti amici che voteranno per Trump “turandosi il naso” e altri come me non lo faranno. Credo che i sostenitori di Trump siano quelli della mia età (Akin ha quasi 60 anni, 4 figli e 12 nipoti), mentre i più giovani membri di chiesa e soprattutto le donne, la pensano come me».
Manca poco all’8 novembre, il fattore R come religione, è quindi più importante del solito in queste elezioni perché non tutti gli evangelical voteranno per Trump, spostando virtualmente milioni di elettori verso il non-voto o i candidati minori. Importante almeno quanto il fattore D come donna.