«Chiediamo perdono, in primo luogo al nostro Signore, ma anche a tutti coloro che hanno patito persecuzioni per mano di membri della nostra chiesa».
La chiesa cattolica si è rivelata troppo piccola per accogliere le oltre 500 persone che sono salite quassù, fino agli 800 metri del piccolo paese di Montségur, in Francia, ai piedi dei Pirenei.
Ma la giornata di domenica 16 ottobre meritava una gita fuori porta per assistere ad un avvenimento che non pochi analisti hanno definito storico.
Come annunciato circa un mese fa il vescovo di Pamiers, monsignor Jean-Marc Eychenne ha infatto pronunciato una formula di richiesta di perdono per le persecuzioni patite in queste terre dai Catari oramai 8 secoli fa. «Colpevoli» di eresia agli occhi dell’egemonia cattolica, patirono persecuzioni e sofferenze inumane.
Montségur fu tragico teatro di una delle ultime battaglie della crociata contro gli Albigesi bandita da papa Innocenzo III nel 1209; il 16 marzo 1244 dopo oltre un anno di assedio il castello del paese, in cui erano arroccati 222 catari, cadde. Davanti al rifiuto dell’abiura per aver salva la vita, vennero arsi vivi tutti i resistenti, in quello che da allora si chiama Prat des Cremats, il prato dei bruciati.
Acqua sotto i ponti ne è passata per arrivare fino all’oggi, all’anno santo della Misericordia indetto da papa Francesco, nel cui contesto si inserisce questa, che rimane un’iniziativa a carattere personale del vescovo e della sua diocesi, ma che certamente ha un risalto e una eco che supera i confini, per giungere fino in Vaticano.
E se, come pare in via di definizione, Bergoglio potrebbe recarsi in visita pastorale in Francia nel 2017 o nel 2018, a questo punto non pare fuori luogo attendere una parola anche da parte del pontefice sui quei bui periodi di odio, sulla scia di quanto già fatto con la richiesta di perdono durante la visita alla Comunità evangelica di Caserta e poi alla Chiesa valdese durante la cerimonia al tempio di Torino nel 2015.
Dopo la cerimonia un corteo si è inerpicato fino ai 1200 metri della rocca che domina il paese di Montségur, dove ancora sorgono i resti del castello che fu ultimo rifugio della popolazione locale. Qui dopo un toccante minuto di raccoglimento sono state posate corone di alloro mentre cornamuse suonavano tradizionali musiche occitane, davanti a rappresentanti delle chiese e dello stato francese.
«Quella di Montségur non è stata la sola strage, ma è stata la più significativa - ha spiegato ai presenti, molti vestiti con tradizionali abiti occitani, Jean Blanc, storico del catarismo- . Significativa soprattutto per il rifiuto collettivo a rinnegare la propria fede, che talmente ardeva nel loro cuore da rendere preferibile la morte all’abiura».
Diverse le reazioni dei partecipanti alla giornata, segno di un percorso avviato ma ancora da completare. Secondo Gérard Millet, presidente dell’associazione “Cavalieri e gentildonne d’Occitania” si tratta una richiesta di perdono che «arriva un pò tardi. E’ un passo ma non siamo ancora alla riconciliazione». Patrick Lasseube, responsabile di un raggruppamento di una settantina di associazioni di storia e cultura locale lo ritiene invece «un gesto assai importante, da noi a lungo atteso».
«Di richiesta di perdono i catari e i loro eredi non hanno bisogno, perchè ciò significherebbe porsi in una posizione di superiorità rispetto ad altri - ha ricordato Éric Dalmas, segretario dell’associazione “Cultura e studi catari”. Mi rallegro di questa iniziativa che però rimane in seno alla chiesa cattolica, per togliere loro in parte un peso ingombrante».
Quella del vescovo di Pamiers non è stata certamente un’uscita estemporanea. Sia il Vaticano che la Conferenza dei vescovi francesi ne erano al corrente e come ha ricordato il portavoce dei vescovi transalpini «il sostegno è stato totale». Buon segno, preludio forse, come anticipato, di futuri scenari sempre più marcati dal percorso di riconciliazione.