Domenica 25 settembre si andrà al voto nel Canton Ticino per un’iniziativa popolare dal nome “Prima i nostri”. Niente spazio all’immaginazione, insomma: la consultazione è proposta dall’Udc, Unione Democratica di Centro, e appoggiata dalla Lega dei Ticinesi, e richiama quella già votata dalla maggioranza degli svizzeri il 9 febbraio 2014, a stretta maggioranza a livello confederale e con percentuali plebiscitarie proprio nel Ticino. Con questo voto si chiede di “agire sulla Costituzione Cantonale per assicurare che il voto venga rispettato e non rimanga solo un auspicio”. In sostanza l’idea è quella di aumentare i livelli di garanzia per i lavoratori ticinesi, affinché sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall’estero.
L’iniziativa, così come formulata, è stata rifiutata dal Gran Consiglio cantonale, che ha proposto un controprogetto che accoglie il principio della preferenza locale nel mercato del lavoro ma in maniera più blanda, affermando che l’impianto su cui l’iniziativa dell’Udc si regge è in contrasto con il diritto federale e internazionale, e quindi sostanzialmente inapplicabile. Stando alle sensazioni di Roberto Roveda, storico e collaboratore della rivista ticinese Ticino7, oltre che della rivista di geopolitica Limes, la maggioranza dei cittadini del Canton Ticino si esprimeranno a favore, mettendo il Gran Consiglio cantonale di fronte a una situazione estremamente complessa.
Qual è la differenza sostanziale rispetto all’iniziativa votata il 9 febbraio 2014? Perché si torna al voto?
«L’iniziativa del febbraio 2014 voleva porre dei limiti che in realtà il governo federale non ha ancora posto, perché ha sì avviato delle trattative con l’Unione europea, ma non sono ancora andate a buon fine. Adesso rimane poco tempo: c’erano tre anni a disposizione per adeguarsi all’esito del voto, ma a febbraio 2017 questo tempo scadrà, e allora l’Udc, che è il partito di centrodestra che insieme alla Lega dei Ticinesi vuole porre dei limiti all’immigrazione e alla circolazione delle persone, alza la posta e ha proposto questa iniziativa popolare solo per il Canton Ticino per inserire nella costituzione cantonale dei limiti per i lavoratori stranieri. Insomma, si vuole un po’ forzare la mano al governo centrale, che secondo l’Udc e anche secondo la Lega dei Ticinesi non sta facendo niente per rispettare la volontà popolare espressa nel 2014».
La richiesta è davvero condivisa a livello popolare?
«C’è una realtà incontrovertibile: stando ai dati del settembre 2016, sono 62.000 i cittadini stranieri che lavorano nel Canton Ticino, e di questi oltre 40.000 sono frontalieri che ogni giorno entrano in questo territorio. Se contiamo che la popolazione del Canton Ticino ammonta a 300.000 abitanti, e che quindi ha una forza-lavoro vicina ai 150.000 individui, allora in effetti esiste un problema. Tuttavia va anche detto che c’è evidentemente una richiesta di lavoratori dall’esterno, perché altrimenti non ci sarebbero questi flussi. È vero, forse ci sarebbe bisogno di trovare il modo di non ostacolare l’occupazione dei ticinesi, ma in realtà chi vive qui si trova un po’ nella situazione che viviamo noi con le persone immigrate da altri Paesi: i ticinesi certi lavori non li vogliono fare, vogliono delle condizioni che forse l’economia ticinese e anche svizzera non è più in grado di garantire. La crisi che c’è in Italia c’è anche in Svizzera, anche se in termini diversi».
La Svizzera in effetti dipende molto dalle relazioni esterne. E questo è anche un problema: come si costruirebbero le nuove relazioni nel caso in cui dovesse passare questa iniziativa popolare?
«Il problema è che questa iniziativa popolare, che probabilmente verrà accettato dal popolo ticinese dato il clima che c’è in questo periodo, dovrebbe portare a un cambiamento della costituzione cantonale. Tuttavia, le relazioni internazionali sono gestite a livello di governo centrale, e quindi basate su un diritto superiore rispetto a quello cantonale. L’Udc vuole mostrare che c’è una volontà del popolo in una precisa direzione, sperando così di ottenere dei risultati nelle trattative, però a mio parere, a forza di alzare la posta, si rischia di arrivare a una rottura. In questo momento i rapporti tra Unione europea e Svizzera non sono buoni, la questione della Brexit ha costretto l’Unione europea a dover gestire l’uscita del Regno Unito, che è ben più importante rispetto ai rapporti con il Canton Ticino e con la Svizzera, per cui non so quanto possa servire alzare i toni. Sicuramente l’Udc cerca anche un vantaggio elettorale, punta a ottenere un risultato interno: un po’ come la Lega Nord in Italia non è molto interessata a questioni di tipo internazionale, è interessata a questioni interne».
In termini di appoggio politico chi sta con l’iniziativa principale e chi invece sostiene il controprogetto?
«A livello di partiti l’Udc e la Lega dei Ticinesi sono a favore dell’iniziativa, mentre tutti gli altri partiti sono contrari. È contrario anche il governo ticinese e sono contrarie le grandi organizzazioni industriali e commerciali. Bisogna però dire che anche in occasione del referendum del 2014 la contrarietà era tanta e poi in Canton Ticino quel referendum raccolse il 70% dei voti e a livello federale raggiunse più del 50%. Insomma, la “pancia” del popolo ticinese va in una direzione diversa rispetto a quella che è la testa politica, commerciale ed economica. Secondo me l’iniziativa passerà, mi farebbe piacere essere smentito».
In Italia la Lega Nord, e in particolare il governatore della Lombardia Roberto Maroni, ha espresso grande preoccupazione. In concreto, cosa cambierebbe per i frontalieri?
«A livello cantonale ticinese sono già state prese delle decisioni anche burocratiche che hanno complicato la vita ai frontalieri, quindi un voto in questa direzione darebbe il via libera al governo ticinese per nuove misure che possono essere anche semplicemente dei prezzi calmierati per i parcheggi, una tassazione diversa per i frontalieri, dei costi specifici per i conti in Svizzera aperti per lavoro. Sono tutte piccole cose che per un frontaliero diventano dei piccoli balzelli difficili da sostenere nell’arco di 365 giorni. Inoltre c’è preoccupazione in senso più ampio per il clima che si è venuto a creare».
Questa iniziativa è solo ticinese o ci sono progetti simili negli altri cantoni?
«Non conosco iniziative simili in altri cantoni, domenica si vota per questioni molto varie in tutta la Confederazione. Diciamo però che il tema del lavoro è centrale in Ticino, perché si vota su “Prima i nostri” e poi su un’iniziativa per contrastare il dumping salariale. In questo caso si prevede un aumento del numero degli ispettori del lavoro e delle regole per i contratti del lavoro che permettano di creare ostacoli alla possibilità di assumere delle persone con dei contratti che non sono regolari fino in fondo e che nei fatti favoriscono i frontalieri, più disponibili a lavorare a condizioni peggiori. Il problema di questa iniziativa è che si prevede un aumento del numero degli ispettori del lavoro enorme, ce ne dovrebbero essere 95 mentre oggi credo ce ne siano una decina, quindi ha un costo molto alto. Il Canton Ticino ha fatto un controprogetto che ne prevede circa una trentina, ma non è che in Svizzera e in Canton Ticino manchino i controlli, perché ce ne sono; a questo punto però ci sarebbe un controllo molto ferreo, la burocrazia aumenterebbe, ha un senso, però le imprese ticinesi hanno bisogno di una forza lavoro con costi minori rispetto a quelli a cui sono abituati gli svizzeri. C’è una realtà economica con cui bisogna fare i conti e con cui la popolazione fa fatica a rapportarsi, ma lo sappiamo benissimo anche noi in Italia».
Gli svizzeri ironizzano spesso sulle iniziative popolari dicendo sostanzialmente “qui si vota per qualunque cosa”, quindi viene vissuto quasi come una consuetudine. In questo caso però sembra esserci più rumore e attesa per il voto. Le realtà sociali, come le chiese, hanno preso posizione?
«Io onestamente ho la sensazione che questo voto sia molto sentito da questa parte delle Alpi, mentre se si guarda la prima pagina del Corriere del Ticino, che è il massimo organo d’informazione cartacea nell’area, non c’è tutta questa attenzione, anche perché è vissuta in un clima che è abbastanza definito. Da parte delle chiese l’attenzione è molto più alta sulla questione delle migrazioni, dei richiedenti asilo, delle chiusure e dei controlli che hanno interessato il Ticino e che hanno contribuito a un clima non ideale sui richiedenti asilo, e su questo le Chiese si sono espresse molto. In generale diciamo che in Svizzera soprattutto dalle chiese riformate c’è molta meno volontà di intervenire sul dato politico e e molto di più su quello sociale».