Se l’ecumenismo è un’esperienza con diversi anni alle spalle, il dialogo interreligioso è un cammino relativamente nuovo, che - in questo tempo di crescenti paure e sospetti verso gli altri, segnato dagli episodi di violenza terroristica che hanno scosso l’Europa - procede con maggiori difficoltà. Eppure, per i sinodali riuniti a Torre Pellice è chiaro che il dialogo, da un lato con le altre confessioni cristiane dall’altro con le altre fedi, non solo deve rimanere aperto ma va proseguito con coraggio.
Dal dibattito sinodale è emerso che su tutto il territorio nazionale la maggior parte delle chiese locali sono impegnate nel dialogo ecumenico, e in un clima di rilancio delle relazioni con la chiesa cattolica anche a seguito dell’eco positiva della visita del Papa al tempio valdese di Torino, l’imminente anniversario della Riforma protestante può essere l’occasione di dire perché ha ancora senso oggi una chiesa riformata, dove le diversità alternative tra il modo di vivere la fede nel protestantesimo e nel cattolicesimo esistono e possono essere oggetto di scambio non polemico, ma costruttivo.
Anche nell’ambito del dialogo interreligioso, le chiese stanno muovendo alcuni passi importanti: in molte città esistono tavoli interreligiosi, comitati interfedi (come a Torino) che svolgono attività con le scuole, ma anche con le Asl. Con queste ultime – ad esempio – grazie a dei protocolli d’intesa, è stato possibile istituire in alcuni ospedali non solo le «stanze del silenzio», ma prevedere anche una cura pastorale interreligiosa ai malati che ne fanno richiesta. Certo, agli incontri di conoscenza reciproca all’insegna della pace e della convivenza, dovrebbe seguire il desiderio di approfondire la conoscenza dell’Islam, del Corano, per ora assente.
E quando sono gli altri che non vogliono più proseguire il dialogo? Nel dibattito sinodale è stato fatto riferimento alle chiese pentecostali che nel 2010 (anno in cui il Sinodo ha approvato un ordine del giorno che prevedeva la benedizione di coppie dello stesso sesso), hanno unilateralmente interrotto il dialogo avviato anni prima con le chiese valdesi e metodiste.
Recentemente il dialogo ufficiale con la Federazione delle chiese pentecostali (Fcp) è ripreso ed è ora entrato nella sua terza fase: considerare le questioni sulle quali ci sono visioni molto diverse (ad esempio: il battesimo e le questioni etiche), per vedere se si può continuare ad essere in comunione. Al pastore Paolo Ricca, che insieme ad altri ha pazientemente ricucito le fila delle relazioni con la Fcp, abbiamo chiesto perché ha senso proseguire il dialogo.
«Perché i pentecostali sono “nipoti” della Riforma protestanti. Essi condividono con noi il principio del Sola Scriptura. Non solo. A differenza di altre chiese cristiane, con cui pure dialoghiamo – ad esempio la chiesa cattolica che ha il magistero, e la chiesa ortodossa – i pentecostali condividono e predicano tutti i quattro principi della Riforma protestante (i quattro Sola). Allora, la domanda è: la Scrittura divide? Sì, ma noi scommettiamo che il Sola Scriptura è la base dell’unità e della comunione. Mi dà tristezza vedere che oggi in alcune circostanze si riproducano divisioni sul diverso modo di leggere le Scritture, proprio come accadde in seno alla Riforma protestante del 16° sec., si pensi alla divisone tra Lutero da Zwingli, oppure tra riformatori e anabattisti. Riprendendo il dialogo con le chiese pentecostali, affermiamo di credere che il Sola Scriptura sia una base sufficiente per l’unità della chiesa: sappiamo che ci sono interpretazioni diverse e modi differenti di leggere le Scritture, ma vogliamo che prevalga l’idea, tanto cara al mondo protestante, dell’unità nella diversità. Lo sforzo da parte di entrambi i dialoganti è di accogliere, senza formulare giudizi o pretendere di avere l’esclusiva, che ci sono letture diverse ma legittime della Scrittura».