«Di solito non parlo con nessuno, oggi sì»: sono le parole di un rifugiato intervenuto al «presinodo» che la Federazione giovanile evangelica in Italia (Fgei), ogni anno promuove a Torre Pellice alla vigilia del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi. L’appuntamento decennale della Fgei è nato dal desiderio dei giovani, che compongono o gravitano intorno alla Federazione giovanile, di ritrovarsi anche in occasione del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi. Molti giovani vi partecipano ogni anno perché è uno spazio di riflessione comune.
«Il presinodo non si limita a momenti di riflessione intergenerazionali – dice la segretaria della Fgei, Francesca Litigio, membro della chiesa battista di Napoli e studente in Teologia presso la Facoltà valdese di Roma –, cerchiamo sempre di proporre momenti diversi: laboratori, dibattiti, discussioni con ospiti e cerchiamo soprattutto di condividere anche la cena, quest’anno interamente gestita da rifugiati pachistani. Questa interdisciplinarietà consente, a chi lo desidera, di avvicinarsi alla Fgei e di poter condividere un pezzo di cammino comune».
Il tema discusso dalla Fgei quest’anno: l’accoglienza a rifugiati e richiedenti asilo, tema che per le chiese metodiste e valdesi e per la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) è stato certamente una delle attività predominanti di questi ultimi anni impegnate nella solidarietà e nell’osservazione dei fenomeni migratori da Scicli a Lampedusa, dai centri istituiti dalla Commissione sinodale per la diaconia (Csd) – non ultimo, il progetto pilota in Europa dei «corridoi umanitari» promosso dalla Fcei e sostenuto con l’Otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi e la partnership della Comunità di Sant’Egidio.
«Ogni anno “staff” si occupa di preparare i materiali per affrontare il tema scelto. Un tema affrontato in modo interdisciplinare in altri campi della Fgei e soprattutto al Sud. Grazie alla presenza di persone ospitate dalla Csd presso la struttura “Crumiere” di Villar Pellice (To) – ha proseguito Litigio –, il nostro lavoro si è arricchito di preziose testimonianze come quella di un ragazzo che ci ha detto di non aver mai voluto parlare con altre persone italiane, per paura di perdere la sua chance, quella del permesso di soggiorno in arrivo. Con noi si è aperto e ci ha spiegato anche alcune differenze culturali e di tradizioni che lo hanno confuso al suo arrivo in Italia. Come credenti è importante riflettere non solamente sull’accoglienza verso l’altro, “lo straniero”, ma riflettere su come e quando noi, per primi, siamo stati accolti».
Oltre trenta ragazzi hanno partecipato ai laboratori di gruppo e in plenaria del presinodo, più che raddoppiati per la cena pachistana. Una cena che ha coinvolto anche molte famiglie, bambini e giovani al di fuori della Federazione.
«I nostri laboratori, gli eventi e i campi studi e formazione hanno coinvolto oltre quattrocento giovani in tutta Italia solo quest’anno – prosegue Litigio –. Cento persone sono attive e iscritte alla Fgei e quelle che partecipano al presinodo solitamente seguono le attività, nei giorni seguenti, dei 180 delegati, pastori e laici riuniti nell’Aula sinodale di Torre Pellice. Il presinodo serve anche per spiegare, a chi ne ha bisogno, come funziona “la macchina sinodale”».
Un presinodo interculturale, dunque: «Il significato di accoglienza può avere sfumature diverse – prosegue ancora Litigio –, ci siamo interrogati su questo. Ad esempio è emerso che per noi, di origine italiana, è più facile invitare uno sconosciuto a cena e non altrettanto per dormire una notte a casa nostra; per chi è di origine africana invece è il contrario da momento che la cena è un momento famigliare e intimo. Dunque, è chiaro che nell’accogliere l’altro, per un verso o per l’altro siamo chiamati a esporci e in un certo senso a viverne anche i rischi. Come Fgei, lavoriamo anche per scardinare e vincere le paure che vivono in noi».
La Fgei mantiene da sempre un linguaggio inclusivo («lo staff» è diventato negli anni «la staff») e affronta nei suoi incontri temi quali il dialogo interreligioso o le nuove spiritualità, ad esempio: «in un momento in cui si cerca di preservare la propria identità – conclude Litigio – e dove le paure hanno preso il sopravvento rispetto ad atteggiamenti del passato di fiducia e di altruismo, il nostro imperativo e metterci in discussione, sempre. Per scardinare idee preconcette e o convinzioni l’unico modo per farlo e continuare a interrogarci attraverso il confronto al nostro interno e anche con chi ci regala questa possibilità».