Oscuriamo il nuovo «Horror Picture Show»
Contro la condivisione social di certe immagini shock
Dalla Turchia del democratico Erdogan rimbalza la foto dei corpi seminudi di presunti golpisti ammassati in una palestra. Non conosciamo i loro nomi, le loro esistenze, i loro affetti, i loro sogni. Il loro corpo è esposto e non c’ è elemento che faccia sperare che sia successo alcunché di buono negli istanti successivi allo scatto.
C’è chi ha contribuito alla diffusione dell’ immagine, per sensibilizzare, per comunicare la propria indignazione, per fare qualcosa nell’ impotenza di fronte alla manifestazione del male. Chi ha condiviso questa immagine sul proprio profilo social lo ha fatto probabilmente pensando di fare una cosa buona, per far sapere che cosa sta succedendo in Turchia.
Peccato che questo sia proprio il motivo per cui la foto è stata scattata e diffusa in prima istanza. Chi ha composto l’ immagine, chi ha disposto quei corpi in quella maniera, chi ha organizzato la messa in scena dell’ orrore e della degradazione, lo ha fatto proprio per far sapere che cosa succede in Turchia in queste ore e per mandare almeno tre messaggi: «Noi abbiamo il potere assoluto sulla vita e sui corpi di questi uomini», «Tu non ci puoi fare niente» e — per le loro vittime — «Non verrà nessuno a salvarti».
Che cosa possiamo fare noi, comuni cittadini in Italia e nel resto dell’ Unione Europea? Be’ , non bisognerebbe svegliarsi freschi freschi, come se gli avvenimenti della Turchia fossero una novità. Le violazioni dei diritti umani sono all’ ordine del giorno in un paese dove, ad esempio, non si può osare menzionare l’ avvenimento storico del genocidio degli Armeni del 1916, pena multe, carcere, perdita del lavoro. Come dimenticare il pogrom di Istanbul del 1955, operazione di pulizia etnica che persuase quasi tutti gli ellenici di Istanbul a emigrare in Grecia? E l’occupazione di Cipro Nord che dura dal 1974? E come dimenticare che l’ Unione Europea sta pagando — cioè, noi stiamo pagando, ora, in questo momento — affinché la Turchia si «occupi» dei rifugiati siriani per evitare che possano raggiungere le nostre terre?
In mancanza di una coscienza politica collettiva sensibile ai temi dei diritti umani, è prevedibile sentirsi impotenti rispetto all’ immagine dalla palestra turca. Una cosa, però, possiamo fare, per cominciare: evitare di renderci complici dell’ orrore e della degradazione di quegli uomini, non condividendo l’ immagine sui nostri profili Facebook. Se un amico la condivide, non soffermarsi a guardarla, ma eliminarla dal «giornale» che ci propone il social network.
Gli uomini seminudi e sottomessi sono stati ritratti contro la loro volontà. Nessuno ha chiesto loro se volevano che di loro il mondo conoscesse questa immagine. Chi vuole che l’ immagine giri è il loro aguzzino, come succede quando il Daesh fa girare i video delle sue esecuzioni, vere e proprie «messe in scena» a uso e consumo dello spettatore da social network.
Ovviamente non è una proposta risolutiva. Probabilmente non cambieremo la situazione tragica degli uomini nella palestra turca. Ma forse potremo evitare — o almeno rallentare — l’ escalation di questo nuovo Horror Picture Show [dal titolo del film The Rocky Horror Picture Show, horror-musical del 1975, ndr], che fa a gara con il Grand Guignol del Daesh a chi raggiunge l’ estetica di Salò di Pasolini o di Kill Bill di Tarantino. Solo che non è finzione: è la realtà.
Togliamo l’ audience al circo degli orrori. Eliminiamo lo shock che ci rende impotenti e non reattivi e forse scopriremo che potremo fare qualcosa di meno ingiusto e di più efficace che condividere una foto su Facebook per aiutare chi soffre, che sia vicino o lontano.