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Scandalo in Sudafrica

Il Consiglio sudafricano delle chiese (Saac) chiede all’unisono il pentimento del presidente Zuma

In questi giorni il Consiglio sudafricano delle chiese (Saac)un forum interconfessionale che riunisce 36 chiese e si impegna ad elaborare una comune testimonianza – è al centro del dibattito nazionale per la dura presa di posizione assunta dai cristiani sudafricani nei confronti del presidente – a sua detta cristiano anch’egli – Jacob Zuma, in carica dal 2009 e leader dell’African National Congress (lo storico partito di Nelson Mandela). Il 31 marzo scorso la Corte costituzionale nazionale ha infatti riconosciuto il tradimento dei valori costituzionali da parte del presidente, colpevole di aver destinato fondi pubblici alla ristrutturazione della sua residenza privata a Nkandla, ridente cittadina delle campagne orientali. Fonti ufficiali avevano giustificato le voci di spesa come necessarie a rafforzare le misure di sicurezza di una residenza di Stato, ma dalle indagini è emerso che parte del denaro pubblico è stato invece destinato alla costruzione di nuove strutture ludiche, come piscine e anfiteatri. In diretta televisiva, Zuma ha confermato l’esistenza d’irregolarità ma ha negato di esserne al corrente, respingendo la richiesta di dimissioni avanzata dall’opposizione. Dopo aver ammesso che «avrebbe potuto gestire le cose diversamente», il presidente ha promesso di rimborsare allo Stato parte delle spese in eccesso, pari a 15 milioni di dollari. Una dichiarazione che non è bastata a placare le polemiche, anche perché disattende le richieste della Public Protector Thuli Madonsela (l’Office of the Public Protector è un'istituzione statale tipica della Repubblica sudafricana, con il compito di indagare sui casi di cattiva condotta costituzionale nel governo e nella pubblica amministrazione).

«In qualsiasi altra normale democrazia, il Capo dello Stato avrebbe annunciato le sue dimissioni. Ma noi non siamo una democrazia normale». Comincia così la nota divulgata dal Saac: cinquemila parole assemblate per attaccare, cariche di afflato civile. «La saga di Nkandla non rappresenta soltanto una lacuna morale del presidente e del parlamento, ma del partito al governo, che ha il dovere morale di rimediare a questa situazione ponendola come prioritaria. I valori di vecchia data del partito che fu di Luthuli, Tambo e Mandela avrebbero impedito di spendere milioni del Tesoro in nome della ristrutturazione e della sicurezza di un solo uomo, di fronte alla disperata povertà e alle oscene disuguaglianze del paese».

«Buona parte dei nostri capi di chiesa stanno chiedendo al Saac di fare pressione sul partito di governo per richiedere che il presidente Zuma modifichi la sua posizione – prosegue la nota – . Nel frattempo, ci aspettiamo che il nostro parlamento riconosca il disastro che hanno provocato e prenda immediatamente misure adeguate per ripristinare la fiducia dei cittadini sul ruolo di sorveglianza che il parlamento ha sull’esecutivo. Ci aspettiamo – conclude il Sacc – che il presidente Zuma ammetta le sue colpe, si scusi con i cittadini contribuenti e scelga le opzioni politiche migliori per ripristinare la fiducia nell’Ufficio di presidenza che egli occupa. Date le circostanze non crediamo di chiedere troppo».

L’arcivescovo anglicano Thabo Makgoba, successore del celeberrimo Desmond Tutu, negli anni Ottanta volto mondiale della lotta contro l’apartheid, ha parlato di «tsunami della verità»: «Viviamo in una società basata sulla paura. I nostri membri del parlamento sono troppo spaventati per chiedere all’esecutivo di dar conto delle proprie azioni», ha dichiarato Tutu ritirando un laurea honoris causa conferitagli dall’University of the Witwatersrand. Particolarmente dura nei confronti di Zuma è stata invece la chiesa metodista sudafricana, che a poche ore della sentenza aveva già annunciato che nel caso di mancate dimissioni non avrebbe mancato di esercitare «pressioni dirette» sul principale partito di governo.

Per farsi un’idea di come, in Sudafrica, la spiritualità intersechi la politica, basti pensare che il presidente della Corte suprema Mogoeng Mogoeng ha definito la Public Protector Thuli Madonsela «l’incarnazione di una Davide biblica, campionessa della crociata anti-corruzione che pulirà il governo». Nonostante le innumerevoli divisioni confessionali, il Sudafrica rimane un paese dalla forte vocazione cristiana. Cristiana e protestante, visto che le chiese riformate sudafricane – pentecostali, metodiste, riformate olandesi, luterane – compongono, insieme, più del 30% dei credenti in Gesù Cristo (cattolici e anglicani si attestano attorno al 10%). Per il ruolo storico avuto nel dibattito che ha accompagnato il superamento del regime razzista dell’apartheid, in Sudafrica la religione continua ad avere un ruolo relativamente importante. I punti di vista delle varie comunità, e in particolare delle chiese cristiane, vengono tenuti in conto dalle autorità pubbliche; per converso, capita spesso che il governo chieda l’appoggio delle chiese o delle comunità religiose per la realizzazione di specifici progetti. È appunto per parlare con una voce sola che i variopinti cristiani sudafricani ricorrono al South African Council of Churches.

Foto: By Copyright World Economic Forum www.weforum.org / Matthew Jordaan [email protected] - Jacob Zuma - World Economic Forum on Africa 2009, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7019340

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