La strategia contro il terrorismo, che non decolla
31 marzo 2016
I passi indietro di Hollande sulla cittadinanza ai condannati per terrorismo fa discutere e presenta l'immagine di una Francia non pronta a gestire la situazione di tensione
Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, il presidente della Repubblica francese François Hollande aveva annunciato una modifica costituzionale che permettesse di revocare la cittadinanza francese ai condannati per terrorismo. La discussione è stata difficoltosa, tanto che Hollande ha rinunciato alla proposta, scatenando reazioni contrastanti tra osservatori e opinione pubblica. Ne parliamo con Tiberio Graziani presidente dell'Isag, Istituto di alti studi di geopolitica e scienze ausiliarie.
Che pensa di questo passo indietro?
«Questo di Hollande è un esempio di come le classi dirigenti europee non siano pronte a contrastare questo nuovo tipo di terrorismo: un fenomeno che viene dall'esterno, ma anche dall'interno delle società europee e che in questo caso specifico vede coinvolte persone che vengono da altri ambiti culturali. Hollande, come altri politici europei, parla più alla pancia piuttosto che tentare di trovare soluzioni: queste vanno cercate nella razionalizzazione e implementazione dei servizi di sicurezza, ovvero l'intelligence. In Francia l'intelligence è stata destrutturata durante la presidenza di Sarkozy, con i famosi tagli e questo è chiaramente uno dei risultati drammatici. Piuttosto che riformulare la costituzione o fare leggi liberticide, occorre implementare l'intelligence, anche a livello europeo».
Fare annunci e smentirli non aiuta per la popolarità di Hollande, già in calo
«Si, è controproducente perché si cerca di trovare una soluzione di tipo demagogico a delle emergenze che necessitano il massimo sangue freddo. Il terrorismo nelle nostre città europee è stato superato negli anni '70 e '80 non con leggi speciali o modifiche alla costituzione, ma proprio facendo una grande opera di tipo culturale e sull'intelligence. Questo deve essere riaffermato, facendo esperienza del passato».
Per intelligence europea intende una forza unica?
«Non penso a una super intelligence europea, ma a qualche organismo che possa fare da cerniera tra i diversi istituti dei vari paesi europei e dei diversi statuti giuridici, perché non tutte le procure sono organizzate nello stesso modo, per cui c'è una certa difficoltà. C'è bisogno di una struttura che dia possibilità di collaborazione».
I paesi europei ora sono ancora troppo statici per affrontare questa minaccia terroristica?
«Credo che ci siano difficoltà nel trovare una strategia: se anche le idee possono essere buone, fuori da un contesto strategico di medio e lungo periodo sono delle boutade che non concorrono al chiarimento e alla possibilità di mettere in atto una prassi efficace per debellare il terrorismo di questi anni».