Turchia, l’attentato cambia o conferma i piani in Siria?
19 febbraio 2016
Dopo l’autobomba esplosa mercoledì nel centro di Ankara, ci si interroga sulle responsabilità dei vari attori in Turchia e non solo. Il governo segue la pista curda, ma non mancano i dubbi
Mercoledì 17 febbraio, nel pomeriggio, la capitale turca Ankara è stata scossa da un attentato che ha provocato, secondo il bilancio aggiornato, 28 morti e 61 feriti.
La dinamica sembra abbastanza chiara: un’autobomba è esplosa nel centro della città contro un pullman che trasportava decine di soldati dell’esercito turco, a brevissima distanza dalle sedi delle principali istituzioni politiche del Paese, tra cui il Parlamento. Molto meno evidente è invece la “mano” dietro a questa strage. Quel che è certo, secondo Chiara Cruciati, collaboratrice del quotidiano Il manifesto per il Medio Oriente, è che «non si è trattato di un attentato estemporaneo, né di un'azione imputabile a un uomo solo. L’organizzazione dev'essere stata preparata con anticipo in maniera anche molto dettagliata».
Le accuse
Nell’ultimo anno la Turchia è stata colpita da una lunga serie di attentati, attribuiti a responsabili di volta in volta differenti, e quello di mercoledì è il secondo ad Ankara dopo quello che a ottobre provocò oltre cento vittime tra i partecipanti a una manifestazione per la pace organizzata dal partito di sinistra e filocurdo Hdp. In questo caso, tuttavia, c'è qualcosa di diverso: le vittime sono militari e non civili, e questo ha portato il governo turco ad accusare il Pkk, il partito curdo dei lavoratori da tempo in conflitto con il potere centrale di Erdogan. «In realtà – prosegue Cruciati – il dito non è stato subito puntato sul Pkk, quanto sul movimento dei curdi siriani, il Pyd».
La differenza, apparentemente minima, è decisiva se si distoglie lo sguardo dalle vicende interne turche e si amplia l’orizzonte verso l’intero conflitto siriano: da quasi una settimana, infatti, gli aerei da guerra turchi stanno bombardando le postazioni delle Ypg, le Unità di difesa popolare curde nel nord della Siria, e gli scorsi mesi sono stati caratterizzati da una conflittualità tra i curdi e il governo turco sempre più elevata. Pochi giorni fa il ministero degli Interni turco aveva annunciato la fine ufficiale delle operazioni a Cizre, e su quanto avvenuto si sta ancora cercando di fare chiarezza: si ritiene infatti che almeno 79 civili siano stati uccisi senza la possibilità di fuggire dagli edifici assediati e senza che fosse concesso l’accesso agli infermieri della Mezzaluna Rossa, ma alcune stime parlano di circa 150 persone. Da Ankara, che considera i movimenti curdi come gruppi terroristici sullo stesso piano del Daesh, a questo proposito non sono ancora giunte risposte. L’attentato di Ankara, tuttavia, sposta nuovamente l’attenzione verso l’esterno.
«Se questo attentato fosse veramente stato compiuto dai curdi del Rojava, allora tutto rientrerebbe nel disegno di Erdogan per la regione», sostiene Chiara Cruciati.
I dubbi
Le accuse mosse dal vicepremier Kurtulmuş, poi confermate dal premier Davutoglu, si rivolgono non soltanto al movimento curdo in modo diretto, ma anche a chi, come l’Hdp, lo rappresenta politicamente nel parlamento turco. Eppure né il Pkk, né le Ypg, hanno rivendicato l’attacco. Tutt’altro: hanno esplicitamente negato il proprio coinvolgimento.
In un comunicato ufficiale del Comando Generale delle Ypg, pubblicato su YouTube e rilanciato dai principali siti vicini ai movimenti curdi in Siria e Turchia, le affermazioni di estraneità sono ribadite con ulteriore forza.
«Vogliamo ribadire il nostro messaggio ai popoli della Turchia e del mondo – si afferma nel comunicato – : non siamo collegati a questo evento. Questo non riguarda specificamente solo questo caso, poiché non siamo mai stati coinvolti in un attacco contro la Turchia».
Eppure, nonostante questa forte presa di distanze, nel paese non si sono levate voci contrarie alla lettura governativa, se si escludono quelle tradizionali della sinistra filocurda o quelle di attivisti che sono contrari o esterni alla politica turca. Nessuno, nei giornali più importanti, ha mosso obiezioni. «Tutti – prosegue Cruciati – hanno riportato le dichiarazioni ufficiali del governo, ma va sottolineato che subito dopo l'attacco il governo stesso ha imposto a tutta la stampa turca una sorta di silenzio stampa, ha imposto di riportare soltanto notizie collegate ai comunicati stampa governativi, quindi nessuno, anche volendo, ha avuto la possibilità di presentare visioni alternative. C'è stato anche immediatamente un'imposizione del silenzio stampa, la chiusura di Twitter e di Facebook che ha provocato le proteste soprattutto degli attivisti più attivi nei social network che non hanno avuto la possibilità di esprimere dubbi su quanto accaduto».
Le ripercussioni
Al di là delle responsabilità, sulle quali mancano certezze, è importante collocare questo attentato nel momento storico nel quale è avvenuto. Nel nord della Siria le Ypg stanno conquistando città importanti, sia per dimensioni che per posizione, e il timore di Erdogan è che questa avanzata possa completarsi con il ricongiungimento del cantone occidentale di Efrin con quello di Kobane, dando per la prima volta continuità territoriale al progetto politico curdo e mettendo in crisi l’idea turca di un corridoio controllato militarmente nel nord della Siria.
Secondo Chiara Cruciati, però c'è dell’altro: «oltre a voler evitare l’avanzata curda, bisogna anche leggere l’interventismo turco in chiave anti-Assad, perché le truppe governative, supportate dai raid russi, stanno raggiungendo Azaz, una cittadina finita sotto i riflettori perché rappresenta il punto di passaggio dei miliziani e delle armi a favore degli oppositori». Inoltre, non va dimenticata la posizione di Ankara nello scenario internazionale: la Turchia, infatti, è uno tra i più importanti membri della Nato, soprattutto a livello militare, e nonostante le critiche degli Stati Uniti sulla repressione turca nei confronti dei curdi, l’alleanza è stabile, e, prosegue Cruciati, «quello di cui il patto atlantico ha bisogno oggi è ridimensionare la potenza della Russia, sia sul campo militare che su quello diplomatico, fortemente influenzato da quanto accade sul terreno».
E adesso cosa succede?
La situazione siriana rischia insomma di sfuggire ulteriormente di mano, e proprio per questo Erdogan sta cercando di rendere sempre più stabile la propria posizione «Il governo turco – spiega Chiara Cruciati – ha in mano un'arma molto potente, che è quella dei rifugiati siriani in fuga dal conflitto». Il fatto che sulla questione curda l'Unione europea si sia sempre e solo limitata a delle minime critiche della politica di Ankara è un segno, oltre che della debolezza europea, anche dell’importanza turca per l’equilibrio di tutta la regione. «Abbiamo regalato a Erdogan tre miliardi di euro per tenersi i profughi – afferma Cruciati – ed è un'arma che può usare in qualsiasi momento».
Dall'altra parte, Ankara è riuscita a tessere relazioni sempre più forti e stabili con i paesi del Golfo, in particolare con l'Arabia Saudita, con la quale ha avviato una cooperazione militare sempre più stabile e radicata, in modo da evitare, almeno nel breve periodo, l’isolamento internazionale, qualunque cosa accada.
«Attraverso questo attacco – conclude Chiara Cruciati – , e imputandone la responsabilità ai movimenti curdi, la Turchia potrebbe ottenere una maggiore legittimazione nel caso di un intervento via terra».
Un’ulteriore escalation della guerra siriana, in questo momento, potrebbe essere la peggiore delle conseguenze possibili.