Il papa in Messico dimentica i protestanti del Chiapas
19 febbraio 2016
Vittime di discriminazioni da parte della maggioranza cattolica, in una guerra fra poveri avallata da una politica nazionale inesistente
La trionfale visita di papa Francesco in Messico, caratterizzata da grandi bagni di folla, riporta un’immagine della nazione centramericana che non corrisponde pienamente al vero. Varie critiche si sono levate dalle comunità locali per stigmatizzare il silenzio delle autorità cattoliche sulle sistematiche repressioni subite dai fedeli protestanti, soprattutto in Chiapas. La grande regione del sud del Messico ha una percentuale di cattolici pari a circa il 58%, contro una media nazionale che sfiora il 90%. Sono molte le denominazioni evangeliche che si sono sviluppate nell’area, grazie anche alla vicinanza con nazioni quali Guatemala, Honduras, El Salvador in cui le presenze cattoliche e protestanti sono pressoché le stesse. Esse sono vittime di continuative e persistenti discriminazioni, come rilevato da vari studi. In una sorta di guerra fra poveri, i protestanti del Chiapas sono costretti a subire vessazioni, aggressioni e deportazioni interne con obbligo di abbandonare le proprie abitazioni per spostarsi in altre zone, lasciando i campi migliori alla maggioranza cattolica, già essa stessa dimenticata in questo angolo di mondo dagli stessi governatori nazionali, che da sempre vivono con fastidio le contraddizioni interne che il Chiapas rivela al mondo.
Il 15 febbraio, giorno precedente l’arrivo del papa nella regione, una chiesa evangelica, l’ennesima, è stata data alle fiamme, nella cittadina di Zinacatan. Come riportato anche dal sito evangelici.net (http://www.evangelici.net/notizie/1455807575.html) il pastore della comunità non ha potuto nemmeno denunciare l’accaduto perché tutti gli uffici pubblici e di polizia risultavano chiusi per i preparativi della festa di accoglienza a Francesco. Ignoti hanno forzato le finestre, impilato sedie, mobili e tendaggi e quindi appiccato il fuoco, che ha bruciato l’intero edificio.
Se il papa ha ricordato giustamente quali sfruttamenti e quali emarginazioni hanno patito le popolazioni indigene, e ha affermato che il mondo dovrebbe chiedere loro perdono, rimane il rammarico vivo delle mancate parole nei confronti dei non cattolici. Sarebbe stata occasione ottimale per inchiodare davanti agli occhi del mondo i governanti alle proprie responsabilità per una politica che ha abbandonato la regione ad una sorta di autogestione che ha portato in alcune occasione ad applicare una sorta di legge del più forte, con le inevitabili sofferenze del caso.