Il Paese dell’utopia
19 febbraio 2016
L’ultimo libro del giornalista Leonardo Martinelli è un viaggio nell’Uruguay di Mujica. Con un occhio di riguardo al mondo valdese
«Un laboratorio per una sinistra pragmatica, non vincolata alle ideologie, dalla parte degli ultimi ma capace di uscire da rigidi schematismi in nome di un progresso che possa diventare benessere diffuso per tutti, al prezzo anche di alcuni compromessi. Uno spirito, un modo di sentire e agire, che affonda nelle radici storiche e culturali di questo popolo». Il popolo in questione è quello che vive in quella terra stretta fra il Rio de la Plata e l’Oceano Atlantico, l’Uruguay, piccolo Davide fra i Golia Argentina e Brasile, che con i soldi delle multinazionali alitano sul collo della preda, assetati di prati e terreni da sfruttare per le aggressive politiche agricole intensive. Ma mentre i colossi annaspano, l’economia della Svizzera del Sud America corre, in pochi anni il numero di disoccupati si è dimezzato e il Pil cresce con numeri da far invidia.
L’ultimo libro di Leonardo Martinelli, giornalista toscano di stanza ora a Parigi, dal titolo “Il paese dell’utopia” , edito da Laterza, analizza proprio il cambio di marcia che l’Uruguay ha messo in atto negli ultimi dieci anni, da quando a tirare le fila ci sono per la prima volta nella storia i partiti di sinistra, riuniti nel Fronte Ampio, sorta di grande coalizione. A guidare il paese dal 2004 è stato prima il socialista Tabaré Vasquez, e quindi dal 2010 al 2015 José Alberto “Pepe” Mujica, figura altamente carismatica, capace, con discorsi visionari e con un esempio di vita sobrio e frugale, di accendere ovunque nel mondo le fantasie di milioni di orfani alla ricerca di leader che possano far apparire realizzabili i sogni, possibili le utopie, come ricorda appunto il titolo del bel lavoro di Martinelli. Che in quella terra grande la metà dell’Italia, ma popolata venti volte meno, ha vissuto per anni in due diverse riprese, prima come corrispondente per il “Sole”, e poi proprio per preparare questo volume.
La curiosità di approfondire la conoscenza di questa figura dalla biografia degna di un romanzo, ex guerrigliero, ha spinto l’autore ad un viaggio nel Paese, per incontrare il presidente e la consorte Lucia Topolansky, senatrice e a sua volta ex militante, e per toccare con mano gli effetti delle politiche economiche e sociali che stanno attirando studiosi e analisti da tutto il mondo. Dalla massiccia campagna di informatizzazione, che ha portato a casa di ogni bambino un computer pagato dallo Stato, e sviluppato di conseguenza il settore dei software dedicati all’insegnamento, alla storica decisione di regolarizzare la produzione e il consumo di marijuana, nel tentativo di sottrarre alla malavita la gestione del mercato, fino ai contradditori placet ai massicci investimenti esteri nella produzione intensiva di soia, vero eldorado per le economie sudamericane ma a prezzo di gravi impoverimenti dei terreni, e per una miniera di ferro a cielo aperto che ha attirato le critiche di ambientalisti e popolazioni locali.
Mujica fu fra i leader del movimento Tupamaros, guerriglieri urbani capaci di attirarsi fra gli anni ’60 e ’70 la simpatia di ampi strati della popolazione con azioni spettacolari e sbeffeggianti, prima di compiere alcuni passi falsi che li avrebbero alienati la simpatia di parte dell’opinione pubblica, esponendoli inoltre a sempre più massicce e drammatiche repressioni da parte delle forze di polizia. Con la svolta autoritaria nel Paese del 1973, Mujica ed altri esponenti dei Tupamaros (le cui gesta ispirarono le Brigate Rosse degli albori, quelle di Curcio e Franceschini, che da loro presero ispirazione anche per la stella a cinque punte) vengono incarcerati per 13 lunghi anni. Vittime di violenze continuative e lunghissimi periodi di isolamento, Pepe uscì dal carcere nel 1985 assai provato sia da un punto di vista fisico che morale, ma come ricorda Martinelli «a pochissimi giorni dalla scarcerazione era di nuovo su un palco, a parlare alla folla e a riconoscere gli errori commessi. Un’autocritica che spesso è mancata ad altre latitudini, e che invece in Uruguay è stata decisiva per fare i conti con una stagione, chiuderla e poter pensare al futuro, alle nuove generazioni». Fino ad arrivare ad incarichi governativi. Fino ad arrivare alla presidenza della Repubblica. Ruolo che gli avrebbe consentito di tenere i due meravigliosi discorsi, a Rio de Janeiro nel 2012 e all’assemblea generale dell’Onu a New York nel 2013, che a furia di click lo hanno reso una celebrità mondiale. «E’ forse diventato più celebre all’estero che nel suo Paese – continua Martinelli -, perché la semplificazione di analisi ha fatto sì che alcune contraddizioni non siano state analizzate a fondo». Ma ciò che fa la cifra di un uomo è la propria schiena dritta, «e in Uruguay credo non ci sia nessuno, nemmeno fra gli oppositori, che possa avanzare appunti sull’integrità morale di Mujica, rappresentata anche plasticamente dallo stile di vita. Il maggiolone scassato, il passaggio dato ad un autostoppista basito di trovarsi a fianco del presidente, la casa di lamiera di pochi metri quadrati in cui abita, lo stipendio donato ai bisognosi hanno fatto di lui una figura simbolo, al di là delle idee e visioni politiche».
Nel libro un intero e ampio capitolo è dedicato alla comunità valdese del Rio de la Plata, all’epopea che ha portato gli abitanti delle valli del pinerolese ad attraversare l’oceano, al seguito e attorno a figure che hanno il sapore del mito, come il pastore Daniel Armand Ugon, cui ogni cosa è dedicata a Colonia Valdense, dalle strade agli ospizi, fino al liceo da lui fondato nel 1888 e oggi eccellenza nazionale. In quell’angolo sperduto di mondo questa comunità appare agli occhi del viaggiatore quale un’oasi, una zona di sperimentazione sociale all’avanguardia, dall’aspetto austero e vagamente retrò «stile casa della prateria», coniugato con uno spirito solidaristico e un’apertura mentale che li pongono all’avanguardia, si pensi alle benedizioni per le coppie omosessuali antecedenti alle stessi leggi nazionali che dal 2013 consentono il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Le prime donne laureate nella nazione provengono da Colonia Valdense, così come molti esempi di social democrazia in salsa religiosa. Pagine degne di esser lette, capaci di rimandare un’immagine non banale fra aneddoti – bellissime e toccanti le vicende Ana Maria Rubens e delle case per gli orfani - e sguardo attento sull’oggi. Fra le utopie del Paese, anche quella valdese pare calzarci a pennello.
Il Paese dell’utopia, editore Laterza, 208 pagine, 13 euro, prima edizione novembre 2015