L’Iran e i diritti umani: il lungo percorso ora deve essere avviato
22 gennaio 2016
Il rilancio della Repubblica Islamica dopo la fine delle sanzioni occidentali passa attraverso l’economia e un rinnovato ruolo geopolitico, ma non potrà considerarsi realmente compiuto senza una profonda riflessione sui diritti
Il 16 gennaio la responsabile della diplomazia europea, Federica Mogherini, e il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, hanno annunciato la revoca di gran parte delle sanzioni economiche e finanziarie imposte alla Repubblica Islamica dell’Iran nove anni fa, quando l’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad aveva avviato un programma nucleare molto contestato in Occidente e tra i nemici regionali.
La revoca è stata decisa dopo che la Aiea, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di regolare la produzione di energia nucleare, ha confermato il rispetto da parte dell’Iran degli impegni presi lo scorso 14 luglio con la firma dell’accordo sul nucleare con i paesi del cosiddetto 5+1, cioè i membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con potere di veto (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina) insieme alla Germania.
Un momento decisivo
Si tratta di un evento storico per la politica del Medio Oriente sin dalle sue premesse. Con l’accordo di luglio, infatti, l’Iran aveva accettato di ridurre le sue capacità in campo nucleare fino al punto che oggi avrebbe bisogno di almeno un anno per ottenere abbastanza materiale radioattivo con cui costruire una bomba atomica, e in cambio ha ottenuto un allentamento delle sanzioni che dal 2006 erano state imposte al paese dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Con la fine delle sanzioni, si prevede che l’economia iraniana possa crescere in modo consistente in tempi piuttosto brevi, recuperando quanto perduto negli ultimi, difficili anni. Soprattutto, l’Iran ha già annunciato un aumento del 50% della sua produzione di petrolio, e le esportazioni riprenderanno nei prossimi mesi.
Diritti negati
Tuttavia, quella economica è soltanto una parte del complesso sistema di potenziali conseguenze dell’accordo sul nucleare. Un Iran libero da sanzioni è sicuramente un paese più forte sullo scenario internazionale, con un regime che potrebbe essere consolidato dal miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, ma che al tempo stesso sarà chiamato a intraprendere un difficile percorso di rispetto dei diritti umani, ora negati soprattutto in campo politico.
Il discorso non può prescindere da una riflessione sull’uso massiccio della pena di morte, strumento al quale, secondo il Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra'ad Al Hussein, si è ricorso in maniera sempre più grande negli ultimi anni. Secondo Hussein, «i timori sul diritto a un giusto processo e il continuo arresto di giornalisti, blogger e difensori dei diritti umani restano le prime cause di preoccupazione, anche perché si traducono spesso in esecuzioni». Il mese scorso, poi, una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha criticato l’Iran per le pene disumane come fustigazione e amputazioni, per l'aumento delle esecuzioni anche pubbliche e per le esecuzioni di minorenni.
Secondo Ahmed Shaheed, Inviato Speciale dell'ONU sui diritti umani in Iran, durante la presidenza Rohani «la situazione complessiva è peggiorata, e il governo iraniano dimostra un ostinato disprezzo sia per la dignità umana che per le leggi internazionali sui diritti umani». Le autorità in Iran, inoltre, sempre secondo Shaheed, «continuano a imprigionare membri della società civile che esprimono critiche nei confronti del governo o che affermano pubblicamente posizioni in contrasto con le comunicazioni ufficiali». Questa logica ha condotto alla detenzione di più giornalisti che quasi in qualsiasi altro Paese al mondo, spesso con imputazioni deboli di fronte al diritto internazionale e alla difesa della libertà di espressione.
Il percorso da compiere per arrivare a una situazione minimamente accettabile, insomma, è lungo. Eppure qualcosa può cambiare, e l’impressione è che per qualche verso una piccola trasformazione sia già in atto: a gennaio, infatti, si è arrivati a uno scambio di prigionieri con gli Stati Uniti e al rilascio di dieci marinai statunitensi arrestati il giorno prima per aver violato le acque territoriali iraniane. Prima dell’accordo, risultati diplomatici come questi avrebbero richiesto mesi di trattative e un lungo percorso di mediazione.
Questa “doppia velocità” nel riconoscimento di diritti ai cittadini iraniani rispetto a quelli di altri paesi non deve in realtà stupire, perché la situazione attuale fa sì che l’Iran si debba legittimare a livello internazionale, e dall’altra parte, secondo Reza Marashi, giornalista statunitense di origine iraniana, era prevedibile che i primi mesi successivi all’accordo si traducessero, sul fronte interno, in un inasprimento della repressione da parte del regime, perché «il governo non vuole che una politica conciliante possa essere letta come un segno di debolezza da parte degli avversari regionali».
Piccoli passi
L’impressione è che nei confronti dell’Iran i paesi occidentali abbiano rinunciato, per ora, all’idea della “spallata”, del superamento del regime degli ayatollah attraverso la promozione di rivolte oppure sfruttando le proteste interne: l’Iran è un paese grande, popoloso e politicamente piuttosto solido, e l’esperienza nella regione mediorientale ha insegnato, dal 2011 a oggi, che il cambiamento violento ha raramente portato a un miglioramento dei diritti umani.
La speranza è che si possa procedere per piccoli passi, con un’implementazione graduale di diritti. Secondo Marashi, «la crescita dei rapporti tra paesi occidentali e Iran costringeranno il governo guidato da Rohani a guardarsi dentro e affrontare i propri difetti anziché incolpare le potenze straniere». Una maggior capacità di riflessione potrebbe portare a un rafforzamento dell’area riformista e pragmatica della politica iraniana, accreditata di un potenziale successo nelle prossime elezioni, previste a giugno, e al tempo stesso un maggior coinvolgimento del paese nelle dinamiche internazionale finirà necessariamente per ridurre la cappa di silenzio e di opacità che ha permesso al regime di rimanere al suo posto nonostante anni di difficoltà economiche.
La strada è tracciata, e questo è il momento giusto per intraprendere il percorso. L’Iran e l’intera regione mediorientale non potranno che beneficiarne.