La rotta balcanica dei migranti, confine dopo confine
29 dicembre 2015
Una via spesso meno drammatica rispetto a quella nel Mediterraneo, ma l'inverno e i muri tra gli Stati complicano il viaggio di chi fugge
L'agenzia internazionale Acaps ha da poco realizzato un rapporto analitico che illustra il passaggio delle persone migranti sulla cosiddetta rotta balcanica, il percorso che attraverso Grecia, Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia porta i rifugiati in centro all'Europa. Grazie a questa analisi, ottenuta incrociando dati diversi, tra cui quelli dell'Unhcr, sappiamo per esempio che i trasporti pubblici in questi paesi di transito, sono migliorati nel corso dell'estate, riducendo i tempi di percorrenza e attesa delle persone: alcuni passaggi, come quello attraverso la Serbia verso la Croazia o quello attraverso la Slovenia verso l'Austria sono gratuiti. In molti luoghi i trasporti sono organizzati dallo Stato che consente così di far transitare le persone più velocemente possibile verso il confine successivo. Pur essendo meno rischioso rispetto ad attraversare il Mediterraneo su un gommone, il percorso non è facile: sono decine i controlli burocratici, attese e speranze non sempre sono soddisfatte e sulla strada aumentano i muri e le barriere, come in Ungheria o in Macedonia. Ma «più il blocco sarà duro, più si svilupperanno vie alternative» dice Stefano Lusa, caporedattore del programma informativo di Radio Capodistria, storica emittente slovena e corrispondente per l’Osservatorio Balcani Caucaso. Lo abbiamo intervistato.
Qual è l'interesse per la rotta balcanica in Slovenia?
«In Slovenia c'è stato un altissimo interesse per la questione migranti, soprattutto quando il paese si è trovato alle prese con l'emergenza. Fiumi di parole sui giornali che adesso stanno scemando. Sulla rotta balcanica forse si è arrivati a considerarla come una consuetudine: i profughi passano senza che i cittadini se ne accorgano. Tutto appare organizzato in modo asettico, quasi in attesa di qualche tragedia o di qualche notizia di cronaca per poterne parlare. Con l'inverno aumentano i rischi, e vedremo cosa accadrà. In ogni caso anche nei Balcani si parla del tema solo di fronte alla tragedia».
Più di 840 mila persone sono arrivate in Grecia nel 2015, e verosimilmente hanno proseguito verso nord. Sembra che ci sia stata una risposta attenta dei paesi dei Balcani, per esempio con il miglioramento dei trasporti: è davvero così?
«Sono tornato da poco dalla Grecia, dal campo di Idomeni, dove ho potuto vedere autobus che arrivavano da Atene o dai porti in cui erano sbarcati i profughi, per arrivare alle porte di ingresso della Macedonia che ha eretto un muro con filo spinato, porte di ferro e minuziosi controlli da parte della polizia. Dopo gli attentati di Parigi passano soltanto siriani, iracheni e afghani, gli altri vengono respinti. Chi ha un documento valido entra, gli altri no. Poche settimane fa, alcuni respinti avevano protestato a Idomeni e si erano cuciti le labbra. Oggi i profughi respinti ripagano il biglietto, tornano ad Atene e cercano vie alternative: in generale, più il blocco sarà duro più si svilupperanno vie alternative».
Come prosegue il viaggio?
«Molto brevemente, dalla Macedonia si va via veloci, ci si imbarca su un treno e si arriva direttamente a Tabanovtse, dove c'è un altro campo profughi organizzato dai macedoni. Dopo 700 metri su una strada sterrata si arriva al primo campo in Serbia, che da poco è stato riallestito con container abitativi e strutture per l'accoglienza dei bambini. Si rifanno registrazioni e documenti: ci sono un accumulo di procedure burocratiche e carte che i profughi devono espletare in ognuno di questi paesi. Da lì, con autobus o taxi è possibile proseguire fino al confine croato, a Sid. In Croazia, ovviamente, ci sono altre procedure burocratiche: vengono caricati sui treni verso la Slovenia, dove aspettano altre carte e altri bus per i campi profughi. Successivamente vi saranno ancora i confini austriaco e tedesco da affrontare. Il viaggio dura molti giorni: il trasporto è pagato in parte dai profughi ma spesso ci pensano gli Stati stessi a trasportarli il più rapidamente possibile verso il confine successivo. I Balcani sono consapevoli di essere una terra di transito e sono ben contenti di liberarsi prima possibile dei profughi che passano».
Quali sono le vie alternative ai blocchi?
«Dopo Parigi la Macedonia ha bloccato quelli che sono considerati migranti economici, ma è difficile pensare che l'iniziativa sia esclusiva volontà del Paese e anche gli stessi operatori sul campo con cui ho parlato hanno lasciato intendere che “i consigli” sarebbero arrivati da altre capitali europee. Il punto è che la Grecia non sta rimpatriando i migranti, queste persone possono chiedere asilo solo lì, ma non lo fanno: è chiaro che può essere possibile attraversare illegalmente il confine macedone, oppure passare attraverso l'Albania e il Kossovo. La rotta balcanica veniva usata già prima di questa emergenza, da chi cercava di andare verso il centro Europa: c'è un canale ufficiale organizzato e poi i classici canali ufficiosi delle migrazioni. Quello che è interessante, anche relativamente a una prospettiva italiana, è che se i flussi dal Mediterraneo sono caratterizzati dall'arrivo di migranti subsahariani, spesso a bassa scolarizzazione, ciò che si nota subito qui è una fuga della classe media. Persone che stavano bene a casa propria, vestite come noi, che si comportano esattamente come noi. Al campo di Gevgefija in Macedonia, abbiamo visto ragazzine con i telefonini e ci sono venute in mente scene molto simili in un qualunque bar di Milano. Rispetto ad altri percorsi migratori, dunque, questa è una delle cose che salta subito all'occhio, insieme all'idea conseguente del disfacimento di intere società, come quella siriana».
Sembra che questa via sia molto meno pericolosa di quella attraverso il Mediterraneo
«Si, i profughi non parlano neanche troppo male della polizia. Sulla terra non si sono verificate morti violente come in mare, ma ciò che è ancora un'incognita che fa paura è il freddo. Quello tipico dei Balcani non è ancora arrivato e i Paesi si stanno attrezzando per offrire ai profughi ospitalità adeguata, ma se arrivasse davvero la morsa del gelo le condizioni potrebbero peggiorare».
Anche qui potrebbe essere importante istituire corridoi umanitari?
«Noi ci troviamo di fronte a persone che hanno indubbiamente diritto di asilo e a un'apertura delle frontiere della Germania: ciò che non si riesce a capire è perché non si possa organizzare un ponte aereo dai campi della Turchia o del Libano dove ci sono i profughi per farli arrivare direttamente dove vogliono andare. Si pagherebbero anche il biglietto, spenderebbero di meno, si potrebbero fare controlli più serrati all'origine e si eviterebbe una via crucis per le persone: il viaggio sarebbe più veloce. Qui sono in movimento centinaia di famiglie».