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Proviamo a essere utili in qualche modo

Un viaggio fra i bambini del campo profughi di Sidone, in Libano

Fonte Nev/Mediterranean Hope – Lo sguardo di Lampedusa

Proviamo a essere utili in qualche modo: potrebbe essere l'inizio di una poesia, invece è una frase che credo rappresenti bene la realtà. La nostra realtà, quella di una piccola delegazione composta da un medico e tre operatori, che in questi giorni si trova in Libano per implementare il progetto “Corridoi Umanitari” e per portare un aiuto medico ai tanti profughi che vivono nei campi in Libano.

Un aiuto concreto, materiale, magari piccolo nei numeri. Essere utili in qualche modo: facendo disegni, distribuendo dolci ai bambini e parlando con le persone che hanno bisogno di raccontare le proprie storie.

Giriamo nei campi tra il Nord e il Sud del Libano, ci accostiamo alla frontiera siriana. Più ci avviciniamo a questa e più vediamo campi di profughi, fatti di tela e plastica.

Torniamo a Sidone, dove eravamo stati per una prima “missione” il mese scorso: lì avevamo conosciuto 700 persone che vivevano in una grande costruzione abbandonata, tutti siriani, tutti dal triangolo Idlib – Hama – Homs (Ovest della Siria) [leggi il reportage di Marco Magnano da quell'area, ndr]. Eravamo stati molto vaghi con Walid, rappresentante della comunità a quel tempo. Non volevamo fare promesse che, forse, non potevamo mantenere, volevamo però essere utili mentre provavamo a costruire il modello d'intervento per i corridoi umanitari. Così ritornando in Libano abbiamo portato con noi anche farmaci e abbiamo visitato e curato molte persone. A Sidone siamo tornati perché lì avevamo incontrato Mariam: 9 anni, ustionata su buona parte del corpo, una spalla mai curata, magrissima. Avevamo visto le sue ustioni che scorrevano giù lungo tutto il braccio, toccando anche le dita. Tutto questo per via di un barile-bomba, “bomba sporca” riempita di chiodi e oggetti appuntiti che, una volta esplosi, finiscono ovunque. Il padre era senza un occhio per lo stesso motivo, e se per i siriani è difficile lavorare in Libano, per lui trovare uno stipendio era impossibile. La madre, non giovanissima, claudicante, si prendeva cura come poteva di Mariam e dei tre fratelli.

Quegli occhi verdi ci avevano lasciato lì nel piazzale congelandoci la coscienza, senza sapere bene cosa dire mentre decine di bambini ci giravano intorno come api tra i fiori. Una mano davanti alla bocca per mascherare l'imbarazzo, uno sguardo rivolto verso il basso. Davanti a tanto dolore non sapevamo che fare. Ci chiedevamo solo perché ce ne stavamo andando senza caricare anche loro in macchina e portare Mariam a curarsi da noi. Abbiamo detto loro che se tutto fosse andato bene saremmo tornati dopo un mese con qualche speranza in più. Lo abbiamo fatto. La madre dopo quel breve incontro ci aveva portato subito via Mariam, spinta nella sua stanza senza vetri, in uno scheletro di un palazzo occupato.

Oggi siamo tornati, ma Mariam non c'era. Abbiamo chiesto agli operatori della Croce Rossa libanese che distribuivano farmaci nei locali fatiscenti del palazzo se avessero visto una bimba dagli occhi bellissimi la cui pelle era segnata per sempre dalla guerra. Ci hanno detto che non c'era, che era a scuola, peccato, avremmo voluto mantenere la promessa fatta.

Proprio oggi abbiamo saputo che finalmente il progetto per i corridoi umanitari è passato con la firma del governo italiano. Ciò vuol dire che per le persone come Mariam, per quelle che vivono in questi campi tra scabbia, freddo e miseria, possiamo avere uno strumento in più per proteggerle dalla ferocia del mondo.

Foto Marco Magnano/Radio Beckwith Evangelica

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