Quando l’intervento diaconale richiede soprattutto perseveranza
14 settembre 2015
Le chiese nel sud-est della Germania e gli arrivi di massa di rifugiati
In Germania è l’indiscusso tema Nummer 1: nei telegiornali o nei talkshow, ma anche in una qualsiasi cena l’argomento dominante sono le persone che a decine di migliaia desiderano scappare da guerra, miseria, violenza varia. E che arrivano in Germania. Vengono chiamati Asylanten (cioè richiedenti asilo) o anche Flüchtlinge (rifugiati). E le reazioni al loro arrivo di massa sono disparate: una gran quantità di persone di qualsiasi estrazione si adopera – spesso in prima persona – per una degna accoglienza, per il disbrigo delle pratiche e i corsi di lingua, ma anche per trovare risorse economiche e spazi da mettere a disposizione di chi arriva praticamente senza niente. Ma ci sono anche ben altre situazioni, soprattutto (ma non solo) in alcune zone della Germania orientale, dove persone xenofobe e neonazista, sempre più agguerrite insieme a «normali cittadini allarmati», non solo sfidano le forze dell’ordine ma si scagliano contro strutture di accoglienza e contro le persone accolte variamente traumatizzate.
Nei giorni appena trascorsi, l’arrivo di oltre 60.000 rifugiati giunti attraverso la rotta balcanica, nel sud-est della Germania, ha richiesto uno sforzo straordinario da parte delle istituzioni, delle forze dell’ordine, ma anche delle tante schiere di volontari. In mezzo a loro tanti membri di diverse confessioni cristiane, tra cui anche il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo cattolico di Monaco, e il vescovo luterano della Baviera, Heinrich Bedford-Strohm, che il 5 settembre hanno salutato personalmente rifugiati e soccorritori.
Nella sola stazione centrale di Monaco di Baviera, in pochi giorni, giorno e notte, sono arrivati dozzine di treni carichi di rifugiati, soprattutto di provenienza siriana. Sulla scia di quanto messo in atto dai volontari, spesso anche protestanti, a Budapest o a Vienna, centinaia di persone hanno affiancato le organizzazioni socio-sanitarie presenti nell’area della stazione. Incessante l’afflusso di chi portava coperte, vestiti, giocattoli, bevande e cibo. Contemporaneamente, i vertici delle chiese cattolica e luterana in Baviera ma anche della Caritas e del Diakonisches Werk (Opera diaconale) hanno lanciato appelli alle parrocchie e alle comunità in tutta la Baviera per segnalare abitazioni per ospitare rifugiati. In questo modo, le chiese desiderano supportare e affiancare gli enti regionali e provinciali che spesso sono sopraffatti dalle impellenti richieste del governo federale per reperire alloggi idonei dopo che i rifugiati potranno lasciare i centri di prima accoglienza e identificazione.
La massa di persone in arrivo sembra provocare, specie nelle chiese, una duplice reazione: in molti sono favorevoli all’apertura – seppure dichiarata «straordinaria» dal governo tedesco già criticato da altri governi europei – all’accoglienza di un gran numero di rifugiati anche se sinora non si intravvedono soluzioni per una maggiore ridistribuzione di rifugiati tra i diversi Paesi membro dell’Unione Europea. Ma cresce anche la consapevolezza spicciola di quanto le persone rifugiate abbiano bisogno di un tetto, di norme burocratiche semplificate, di mani tese e di tutela contro chi le vorrebbe rispedirle indietro senza distinzione e senza alcuna compassione umana. In alcuni casi la mano tesa significa anche – come nei primi anni ’90 – che una parrocchia o una comunità accoglie delle persone rifugiate giunte in Germania negli ultimi anni o mesi e che rischiano il rimpatrio in situazioni pericolose, in paesi ormai ritenuti «sicuri» – offrendo loro asilo (Asyl) nei locali parrocchiali sfidando così anche le autorità statali.
Certo, bisogna ammettere che davanti alla crescita esponenziale di arrivi già vissuti e di tutti quelli che ancora ci saranno, sta divenendo sempre più difficile reperire spazi abitativi o anche solo luoghi in cui installare tendoni e container per i rifugiati, con l’inverno alle porte. Anche appelli di pastori, Consigli di chiesa o vescovi non trovano sempre «accoglienza» nei cuori dei membri di chiesa. In alcune province della Baviera sta funzionando molto bene la strategia statale della sistemazione decentrata, dove anche in paesi con meno di 2000 abitanti vengono inviati piccoli gruppi o nuclei familiari di rifugiati. Lì l’accoglienza da parte del gruppo femminile cattolico, da parte del gruppo pro-asilo evangelico o, ancora più frequente, di gruppi di sostegno composti da persone di buona volontà funziona bene, anche se le persone coinvolte, talvolta, sono al limite delle forze e delle competenze. Più difficili da accompagnare e soprattutto da integrare sono i rifugiati che hanno trovato posto in tendoni o anche in ex-caserme militari, che spesso sono le uniche strutture attrezzate reperibili per accoglierli.
La Germania verrà cambiata da queste masse di rifugiati arrivati e in arrivo – questo è un dato sicuro e non viene nemmeno più «reso tabù» dai politici della Große Koalition di democristiani, socialdemocratici e socialcristiani (questi ultimi, in maggioranza in Baviera e da sempre più scettici sul tema, vengono spesso smentiti dai loro stessi membri, anche sindaci e presidenti di provincia, che si adoperano sul campo per una degna accoglienza ai rifugiati). Non è detto, però, che l’attuale disponibilità ad accogliere chi scappa da situazioni indicibili non possa mutarsi quando la realtà quotidiana sarà cambiata anche dalle sfide rappresentate dall’integrazione di chi è parecchio diverso, alla condivisione dei posti a scuola, ma anche nella formazione o nel lavoro: non solo con coloro di cui l’economia tedesca ha urgentemente bisogno, ma anche con coloro che magari non si riveleranno così «economicamente utili» o abiteranno in zone con un alto tasso di disoccupazione. Da mesi il vescovo Bedford-Strohm, attualmente anche presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania, ha reso attente le chiese e la società al comandamento inderogabile di offrire asilo e accoglienza a chi è in fuga ma anche a combattere con priorità assoluta le cause atroci per la stessa fuga.
La sfida per le comunità cristiane in Baviera e in tutta la Germania sta senz’altro nell’avere e invocare quel respiro lungo, quella perseveranza diaconale che servirà per evitare un’accoglienza che finisca come un fuoco di paglia, poiché sa riconoscere nelle persone rifugiate prima di tutto creature di Dio bisognose di un presente tutelato e di un futuro in una Germania «allargata».