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La gestione europea dei flussi migratori ha bisogno di piani segreti?

Il documento di Wikileaks sulla gestione delle migrazioni in Europa. A colloquio con Marta Bernardini di Mediterranean Hope

Wikileaks ha reso pubblico un documento riservato dell'European Union Military Committee, un dipartimento in cui siedono i capi di Stato maggiore europei, in cui viene esplicitato un piano di intelligence e militare per fermare i barconi che partono dalla Libia verso le coste dell'Europa. Una possibilità di cui si era parlato a livello politico, ma che sembrava scartata per le evidenti complicazioni diplomatiche oltre che per il rischio umanitario di chi cerca di imbarcarsi. Per questo motivo altre notizie descrivono l'aumento di finanziamenti all'operazione Triton di Frontex in modo da renderla di “ricerca e soccorso” delle persone in mare e non più soltanto un'operazione di controllo delle frontiere della fortezza Europa. Ne parliamo con Marta Bernardini di Mediterranean Hope, osservatorio della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia a Lampedusa.

Che ne pensa del documento reso pubblico di Wikileaks?

«La notizia che è emersa dai documenti di Wikileaks in realtà non ci stupisce. Chi lavora su questi argomenti da tempo è già riuscito a comprendere qual è l’obiettivo ultimo di questa operazione, che ora è sotto gli occhi di tutti. Da subito avevamo riscontrato che questo tipo di intervento era militare, e non concentrato sulla salvaguardia della vita delle persone, cosa che è emersa in modo evidente e sconcertante. L’obiettivo è quello di colpire il lavoro dei trafficanti intercettando i barconi con operazioni militari: è stato raccontato come un’operazione di intelligence, che non implica l’uso della forza, ma già questo ci lasciava perplessi perché individuare delle imbarcazioni in partenza sulla costa Libica e eliminarle è un rischio evidente per le persone che stanno cercando di partire, poiché è difficile non colpire i migranti stessi. Dal documento sembra che la perdita di vite umane sia meno grave, se l’obiettivo è quello di colpire i trafficanti, un effetto collaterale prevedibile e accettato. Questo è l’ennesimo segnale che l’Europa non è interessata a salvare i migranti ma a fermare le persone per evitare che arrivino in Europa. Anche la notizia dell’aumento dei fondi a Frontex, che rimane comunque un’agenzia di controllo delle frontiere, va nella stessa direzione».

E’ evidente la cautela politica nei confronti della Libia.

«Dal documento emerge chiaramente che le operazioni militari non sarebbero incentrate soltanto sul controllo delle frontiere, ma probabilmente su altri interessi che ci sono in Libia: viene specificato che dato che ci sono provate riserve di petrolio, il piano potrebbe prevedere un altro tipo di impegno militare. Sulla pelle delle persone si propone un intervento che non ha come obiettivo principale la salvaguardia della vita. Inoltre, quando è uscita questa notizia entrambi i governi libici erano molto contrariati, ma nel giro di pochi giorni la posizione è cambiata. Non si capisce qual è il quadro in cui l’Italia potrebbe agire, e probabilmente questa situazione continuerà nel prossimo mese: l’operazione prevista richiede diversi livelli di intervento, che però necessitano del consenso dell’Onu, che dovrebbe arrivare alla fine del prossimo mese. Cosa succederà nel frattempo? La situazione non è sempre chiara, forse volutamente, per permettere un margine militare. Nel documento è chiaro qual è il modo con cui si vuole comunicare all’opinione pubblica questa operazione:  la strategia comunicativa diventa parte dell’operazione stessa, per evitare che l’Europa abbia un’immagine negativa».

Da alcuni titoli sembra che Triton sia diventato un Mare Nostrum bis, che si occuperà anche del soccorso.

«Anche questa è strategia comunicativa: non è scorretto dire che Triton si occupa del salvataggio delle vite in mare, ma non è il suo obiettivo principale. Le forze presenti nelle acque internazionali hanno l’obbligo di salvare le vite in mare: è come dire che i mercantili che trasportano merci hanno l’obiettivo di salvare le vite perché se necessario fanno dei salvataggi. Sappiamo che non è così. Quando lavoriamo a stretto contatto con la Guardia Costiera, qui a Lampedusa, capiamo la differenza: ha dei mezzi adatti al salvataggio in mare, cosa che Triton non ha, e quando non riesce a raggiungere un luogo fa una richiesta alle altre navi considerate come “strumenti di aiuto e supporto” alla loro attività di salvataggio. Questo punto di vista ci fa comprendere che è facile comunicare che Triton salva le vite, ma la mission principale è quella del controllo delle frontiere».

Sembra che a Lampedusa ora ci sia una situazione di normalità, è così?

«'Normalità' è la parola giusta per definire l’isola in questo momento. In questi giorni la situazione è tranquilla, ci sono stati degli arrivi ma il Centro di accoglienza è riuscito a gestire i numeri bassi. Il caos che vediamo è al livello delle scelte dell’Europa, più che della vita concreta dell’isola, che si sta preparando al periodo estivo. C’è un po’ di preoccupazione che le notizie possano disincentivare il turismo, ma l’isola è tranquilla. Lampedusa chiede che si vada oltre quello che è stato raccontato e che le persone vengano a vedere non solo la sua bellezza, ma anche quello che significa vedere il fenomeno migratorio da qui».

Foto: "DC-130H Hercules drone control with a pair of AQM-34 Firebee" di TECH. SGT. MICHAEL HAGGERTY. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

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