Tra rotture e continuità: otto secoli di storia valdese
13 settembre 2021
L’annuale convegno storico, il numero 60, festeggia i 140 anni della Società di studi valdesi e lancia un nuovo grande progetto editoriale
Sessanta convegni in altrettanti anni o poco più, visto che dal 1957 solo quattro volte non si sono tenuti gli incontri della Società di studi valdesi (Ssv). Fondata nel 1881, quest’ultima compie 140 anni: un doppio anniversario dunque, quale occasione migliore per uno sguardo a quanto fatto, ma soprattutto al futuro? Lo sguardo non a caso va a un altro importante traguardo, 850 anni dalla scelta radicale di Valdo di Lione, che diede avvio al movimento valdese: il 2024, che sarà anche il cinquantenario dall’avvio della Storia dei valdesi di Molnár-Armand Hugon-Vinay. Proprio per quell’occasione è prevista la pubblicazione per Claudiana di una nuova “storia dei valdesi” in quattro volumi, un centinaio di autori, che si pone nel solco delle ricerche precedenti ma ha anche l’intento di tracciare una discontinuità e aprire nuove piste di lettura. Il 60° convegno (tenutosi il 4 e 5 settembre, in presenza e in collegamento video dalla Casa valdese di Torre Pellice) funge da cerniera, con una prima sessione venerdì pomeriggio, in cui la prof.ssa Ottavia Niccoli ha portato uno sguardo esterno sulla storia di questi 60 convegni: dall’idea nata quasi per caso, che trovò terreno fertile a Torre Pellice creando quel mix unico tra specialisti e appassionati, rigore accademico e atmosfera familiare, portando nel piccolo Comune alcune delle ricerche europee più interessanti, e aprendo allo studio di temi inediti per l’Italia.
La formula dei primi decenni (convegno miscellaneo o tavola rotonda su un libro) consentiva inoltre la partecipazione di tutti, in un legame con il territorio, con quel “popolo valdese” più volte evocato, su cui riflettere oggi.
Una nuova «storia dei valdesi»: nella sessione di sabato mattina i curatori dei quattro volumi previsti hanno illustrato i ”nodi concettuali” di ciascuna epoca, non semplicemente il piano dell’opera. Francesca Tasca, storica e docente di Liceo a Bergamo, curatrice del volume da Valdo di Lione ai primi anni del XVI secolo, ha evidenziato un concetto che percorre tutta la storia valdese, quello di “divenire”, una capacità di adattamento, secondo Tasca «più scelto che subito»: «a differenza di tutte le altre esperienze non conformiste medievali che furono annientate, questo diventare ha consentito di sopravvivere». Questa mutevolezza rende peraltro difficile “etichettare” i discepoli di Valdo, e l’altro problema di questa fase storica è la «documentazione limitata, quasi sempre deformante, perché prodotta dalle istituzioni persecutorie», ma in grado di dirci cose preziose.
Anche nell’intervento di Susanna Peyronel, docente di Storia moderna all’Università di Milano, per 14 anni presidente della Ssv, “diventare” è una parola chiave, a partire dal “mito di Chanforan”: momento fondamentale di scelta, di rottura (la fine del valdismo medievale), che ovviamente non si compie in un giorno: il passaggio era iniziato anni prima, ricorda Peyronel, e i predicatori riformati si inseriscono nella rete già percorsa dai barba, introducendo nuove dottrine. Molto è stato scritto, sul cambiamento da movimento clandestino a chiesa, altri temi devono essere approfonditi, come il concetto di santità o i miracoli, la visione della lotta armata («le comunità si sono spaccate, i “banditi” sono stati esclusi e allontanati dalle comunità»), le esperienze di coesistenza tra cattolici e valdesi – anche a livello familiare.
Queste ultime sono state «un concreto esperimento di convivenza, tragicamente interrotto» a più riprese nel Seicento, ha ricordato anche Gian Paolo Romagnani, docente di Storia moderna all‘Università di Verona e vicepresidente della Ssv. Bisogna insomma un po’ sfatare il mito dei valdesi «duri e puri, non contaminati con il mondo cattolico»: in realtà, ricerche recenti mostrano una realtà di comunità della bassa valle che emarginano i piccoli nuclei più intransigenti, quei “banditi” che addirittura provocano «la repressione sabauda pur di separarsi dalla comunità cattolica». Questo è solo uno dei numerosi nodi evidenziati da Romagnani parlando del terzo volume (dal Rimpatrio all’Unità d’Italia), forse il periodo più ricco di miti e lacune, anche perché poco studiato. Dai “vizi e virtù” della élite imprenditoriale valdese, mostrati da nuove ricerche, al tema tabù delle conversioni, spesso frutto di «dissidi coniugali e familiari, miseria e un generico desiderio di emancipazione», più che forzate da parte cattolica. E ancora, il rapporto con Illuminismo e razionalismo, il Risveglio, l’epoca napoleonica che portò nuove prospettive e ideali, un’emancipazione vera (altro che il ‘48!). Il ‘48 stesso, con cui si chiude la storia della chiesa valdese identificata con lo spazio delle valli e si apre il mondo nuovo dell’Italia evangelica, è un momento di profonda rottura.
Questo nuovo mondo è stato tratteggiato dall’intervento di Paolo Naso, docente di Scienza Politica alla Sapienza di Roma, che ha ricordato innanzitutto la concomitanza di questo lavoro con analoghe ricerche in via di pubblicazione in ambito metodista e battista: un «bisogno di storia» non certo casuale in questo momento storico. Anche il quarto volume tenterà di descrivere una realtà «cangiante e plurale», dall’uscita dai limiti fisici e mentali del “ghetto”, alla (non) presa di posizione nei confronti delle guerre e del fascismo, alla grande «stagione creativa del dopoguerra con lo sprigionarsi di eccellenti energie», lavorando sull’idea di un «passaggio dalla lotta dei valdesi per i propri diritti, anche in senso difensivo, alla lotta per i diritti di tutti».
I posteri diranno in quali miti e distorsioni saranno (forse) incappati gli studiosi di oggi, una cosa è certa: il passato, anche quello di una piccola minoranza, non finirà mai di interrogare e stupire ricercatori lontani nel tempo e nello spazio.