Il caso di Fabiano Antoniani (dj Fabo) e la difficoltà di percorso, alla Camera, per il testo prodotto dalla Comm.ne Affari Sociali in materia di Dichiarazioni di fine vita hanno riportato alla ribalta quest’ultimo tema e quello dell’eutanasia: due temi che a volte vengono assimilati, generando sentimenti contrapposti. Staccare le macchine, accompagnare alla morte, cocktail di farmaci, sedazione profonda, cure palliative, interrompere l’alimentazione artificiale…: sono immagini che spesso evocano paure: forse proprio perché in Italia ancora non c’è una legge chiara in materia…
Al prof. Luca Savarino, ricercatore in Filosofia morale e professore di Bioetica all’Università del Piemonte orientale e coordinatore della Comm.ne bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi ma anche membro del gruppo di bioetica presso la Conferenza delle Chiese europee, abbiamo chiesto di fare il punto in proposito.
«La mia sensazione è che in Italia sia necessario avviare un dibattito approfondito che consenta innanzitutto di informare i cittadini in maniera adeguata e di metterli nelle condizioni di esercitare i propri diritti. Solo per fare un esempio, credo che solo pochi siano in grado di distinguere con precisione tra sospensione delle terapie, sedazione palliativa ed eutanasia propriamente detta. E pochi sanno che in Italia esiste già una buona legge sulle cure palliative, le 38/2010: il problema è che questa legge attualmente è applicata in modo inadeguato e l’offerta di cure palliative è insufficiente e soprattutto disomogenea all’interno del territorio nazionale. Quanto al testo sulle direttive anticipate di fine vita attualmente in discussione in Parlamento, ritengo che nella sua versione originaria fosse un disegno di legge abbastanza semplice e ragionevole, che avrebbe potuto colmare una grave lacuna legislativa. Si trattava di una proposta di legge priva di derive eutanasiche, che correttamente intendeva rendere vincolanti le Direttive anticipate di trattamento, fatta salva la facoltà del medico di dissentire in maniera motivata dall’applicazione meccanica delle direttive stesse, contemplava la facoltà del paziente di interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale considerate a tutti gli effetti misure terapeutiche e non di assistenza ordinaria, e soprattutto conferiva la giusta centralità all’interno del processo terapeutico alla libertà di cura del paziente e al consenso informato. La quantità di emendamenti presentati in sede parlamentare e l’asprezza delle divisioni sul tema non consentono tuttavia di prevedere se e in qual modo l’iter legislativo si concluderà».
Da molto tempo la Commissione Bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi in Italia sta riflettendo sui temi del fine vita, e negli anni ha prodotto diversi documenti, il primo dei quali, nel 1998 (seguito da quelli del 2002 e 2007). La Commissione sta ora lavorando su un nuovo documento: in che modo il testo riflette l’evoluzione che c’è stata nel Paese?
«Negli ultimi vent’anni, non solo in Italia, il dibattito sull’eutanasia e sul suicidio assistito non ha perso la sua attualità, ma ha certamente registrato alcuni significativi mutamenti, che rappresentano il punto di partenza del nuovo documento: si è ampliata la tipologia dei soggetti coinvolti (di eutanasia nel 1998 si parlava principalmente in relazione ai problemi dei pazienti oncologici); si sono evolute le tecniche mediche (mi riferisco in particolare alle cure palliative, il cui sviluppo avrebbe reso, secondo alcuni, meno urgente la domanda di eutanasia nelle società occidentali); è ora possibile ragionare sui dati a nostra disposizione riguardo alle esperienze legislative dei paesi che hanno scelto la via della depenalizzazione o della legalizzazione dell’eutanasia; le Chiese hanno prodotto numerose riflessioni su questo problema. Per tutti questi motivi abbiamo ritenuto utile riprendere il documento pubblicato nel 1998 e ci siamo chiesti se le conclusioni di allora fossero ancora valide oggi. La mia opinione personale è che la risposta non possa che essere positiva».
Quali saranno le tappe della discussione del testo all’interno delle chiese?
«Come coordinatore della Commissione non sta a me deciderlo, è una questione che riguarda le Chiese nel loro complesso e i loro organi decisionali. Posso solo dire che il nostro auspicio è quello di offrire informazioni utili alle persone che leggeranno il nostro documento e di favorire un’ampia discussione di questi temi all’interno e all’esterno delle chiese. Ritengo che sia questo l’aspetto più significativo del nostro lavoro, al di là delle conclusioni a cui siamo giunti, che sono state il frutto di un dibattito approfondito e appassionato, ma che non sono state condivise in toto da tutti i membri della Commissione. Questo fatto non deve stupire: in una discussione su temi così delicati è inevitabile che esistano, all’interno e all’esterno delle chiese, sensibilità, inclinazioni e orientamenti di valore differenti tra loro. Quello che conta è che tali divergenze siano utili ad avviare un dibattito sereno e costruttivo che metta le persone in condizioni di decidere in maniera quanto più possibile autonoma».