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Rendimi la gioia della tua salvezza e uno spirito volenteroso mi sostenga
Salmo 51, 12

Nella parabola, il figlio disse: «Io mi alzerò e andrò da mio padre»
Luca 51, 18

Mi leverò e andrò dal padre mio, / di confusion coperto e di rossor.  / Mi prostrerò ai piedi del mio Dio  / solo fidando nel divino amor.

Così recita la prima strofa dell’inno 186 dell’Innario Cristiano in uso nelle comunità valdesi e metodiste italiane, il conosciutissimo canto che, sulle note della Romanza senza parole (opera 30 n. 3) di Felix Mendelssohn, sintetizza la decisione presa dal figliol prodigo, il ragazzo della parabola del Padre Misericordioso.

Tutti la ricordiamo: essa ci racconta la vicenda di un figlio che vuole subito la sua eredità per godersela finché è giovane, che quindi decide di non lavorare accanto al padre, ma di cercare la fortuna in giro per il mondo. Perché aspettare la vecchiaia, se è possibile essere ricchi ora, adesso, in questo momento in cui ne abbiamo tanta voglia? Il ragionamento sembra filare, ma la storia prosegue col racconto del fallimento del ragazzo, che finisce col dissipare i suoi averi e rimanere solo e abbandonato da tutti. Gli amici attirati dalla ricchezza se ne vanno e il giovane non sa cosa fare per sopravvivere; a qual punto cerca un lavoro e comincia a riflettere sulle proprie scelte: non è facile ed è necessario un lungo percorso personale, che lo porta a capire i suoi errori e a decidere di tornare dal padre per chiedergli perdono. Non basta che si penta e rimpianga le proprie decisioni, deve accettare la propria sconfitta e affrontare il viaggio e le sue conseguenze, compreso il possibile rifiuto da parte del padre.

L’inno che abbiamo riportato all’inizio di questa breve riflessione, esprime bene l’idea del movimento, del porsi in cammino. Il pentimento di per sé non significa nulla se non è accompagnato da un reale desiderio di cambiamento. Se accanto al dolore per la propria incapacità di operare il bene, non c’è anche uno spirito volenteroso che ci mette in moto, che ci induce a cambiare, che ci fa desiderare una vita davvero nuova, il pentimento rimane una parola vuota. Pentirsi significa, prima ancora che chiedere scusa, aver bisogno di cambiare, sentire la necessità e dunque la forza della conversione. E allora, con animo rinnovato, non ci si può che levare e mettere in moto.

 

Erica Sfredda