Perché dici tu, Giacobbe, e perché parli così, Israele: «La mia vita è occulta al Signore e al mio diritto non bada il mio Dio?
Isaia 40, 27
Non abbandonate la vostra franchezza che ha una grande ricompensa
Ebrei 10, 35
Il verso di Isaia dà voce al lamento del popolo esiliato in Babilonia. La condizione di «nascondimento» può essere intesa in due modi. Può essere il nascondimento di Dio perché la sua presenza è rimasta nella lontana Gerusalemme. L’altra possibilità è che ad essere «nascosta» sia la nostra «causa o vita» a Dio o perché entrambe le siano indifferenti, o perché la lontananza divina gli impedisce di «vedere e di agire» in favore degli esiliati. Per nascondimento si intende anche il silenzio divino, per esempio nel libro di Giobbe, o la dimenticanza divina, che Dio si sia dimenticato di Israele, come nel Salmo 44. La causa del nascondimento sarebbe il peccato, il tradimento dell’alleanza e della vocazione storica del popolo eletto. La lamentazione è un salmo liturgico pronunciato dagli esiliati che il profeta ascolta e immediatamente contesta. Per lui Dio «non può dimenticare Israele», il profeta contrappone alla liturgia scontata del lamento per il peccato la certezza teologica della speranza. Dio non è uomo e non «si nasconde» da noi, non gioca a nascondino con il suo popolo, e la nostra condizione gli è nota e gli sta a cuore. Il profeta annuncia un ribaltamento che trasforma il lamento in canto di speranza, il lutto, il sacco e la cenere penitenziali in festa di nozze e in ballo della fecondità ritrovata. Per questo motivo il profeta porta una parola o messaggio dove la nota dominante è la consolazione: perché dici, Giacobbe, e tu, Israele affermi? Il problema è questa liturgia del lamento stantia, rituale, falsa che non crede più e che soprattutto non spera più, non stimola la speranza, come le liturgie dei sacrifici erano diventate prima dell’esilio formule religiose vuote e senza valore. L’opera divina si svolge nel tempo, nella storia e il profeta chiama a raccolta le ultime energie della fede rimaste per attendere ancora l’inizio della nuova era di salvezza che Dio approntava nelle viscere del Galut, dell’esilio, per richiamare il suo popolo alla sua vocazione storica. Erano loro quelli che avevano dimenticato e nascosto il loro Dio in rituali puramente estetici senza vigore spirituale né fede, invece Dio non può dimenticare, e il suo nascondimento è soltanto apparente. Quando arriverà il momento stabilito Dio stesso verrà a salvarci.