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Sono 18.501 i migranti e i rifugiati la cui morte o scomparsa è stata accertata negli ultimi tre anni a livello mondiale.

Tra il 2015 e il 2016 si è registrato un incremento del 30,6% nel numero di vittime, passando da 5.740 a 7.495.

È il Mediterraneo il luogo in cui, su scala globale, migranti e rifugiati hanno incontrato più spesso la morte: 5.079 nel solo 2016. Ogni 71 persone, che sono riuscite ad approdare su una costa attraverso il mare, una di queste ha perso la vita.

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A diffondere i dati – come ricorda il sito dell’Associazione Carta di Roma (nata nel dicembre 2011 per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione e che vede nel direttivo e tra i fondatori la Federazione delle chiese evangeliche in Italia - Fcei) – è stata l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim).

Proprio la Fcei ha, da tempo, attivato dei «Corridoi umanitari» come risposta, seppur simbolica se si guarda ai numeri delle persone coinvolte, a questa immane tragedia.

«L’idea di promuovere dei “Corridoi umanitari”, per intervenire con urgenza e poter così garantire un passaggio sicuro e legale a profughi e richiedenti asilo – ha dichiarato a Riforma.it il presidente della Fcei, pastore Luca Maria Negro, che proprio ieri sera è intervenuto sul tema al TGcom24, canale 51 del digitale terrestre, in un programma condotto da Laura Cannavò – è maturata nell’ambito del progetto Fcei, Mediterranean Hope, iniziato nel 2014 con un Osservatorio sulle migrazioni a Lampedusa. Scrutando questo mare su cui si avventurano in tanti, ci siamo accorti che esso è una sorta di deserto acquatico, e ci è tornata in mente la visione di Isaia 40 con l’invito a preparare nel deserto “una strada per il Signore”. Abbiamo raccolto questa chiamata a preparare una strada per chi fugge dalla guerra e dalla miseria e lo abbiamo fatto ecumenicamente insieme alla Comunità di Sant’Egidio e con il sostegno della Tavola valdese».

L’incremento dei decessi accertati, ricorda l’Oim: «non è da attribuirsi solo all’inasprimento delle condizioni e dei pericoli affrontati da migranti e rifugiati lungo le rotte della migrazione, ma è dovuto al miglioramento del sistema di rilevamento e registrazione dei decessi» che tuttavia offrire ancora una fotografia parziale della tragedia in corso.

«Questi dati sono semplicemente scioccanti ma prevedibili, – ha detto per parte sua Paolo Naso, politologo e coordinatore di MH - Programma Rifugiati e Migranti della FCEI – . Le pesanti cifre delle vittime delle migrazioni irregolari rese pubbliche dall’Oim non sorprendono. Anche quella drammatica relativa alla rotta mediterranea che si rivela la più pericolosa e la più mortale al mondo. Chiusa, grazie all’accordo di ferro con la Turchia, la via di accesso in Europa attraverso i Balcani e di fatto ridotta al minimo quella dal Marocco, è evidente che chi fugge da guerre e persecuzioni tenta la rotta “centrale” che conduce primariamente in Italia. Il più grave errore delle politiche migratorie europee, è che si pensa di risolvere il problema dei grandi flussi semplicemente alzando un muro o presidiando militarmente una costa. È una grave e pericolosa illusione che ignora che chi ricorre ai barconi della morte e alle reti criminali che lo gestiscono, lo fa perché non ha alternative. Inutile girare attorno al problema: attualmente, con l’eccezione dei “Corridoi umanitari” testati dall’Italia, non ci sono vie legali di accesso in Europa per chi fugge dalla propria casa che brucia in Siria, ma anche in Nigeria, in Mali, in Eritrea e così via. Le morti in mare non sono un incidente stagionale ma la conseguenza necessaria e prevedibile della scelta europea di barricarsi come in una fortezza. L’alternativa non è certo quella delle frontiere aperte o degli ingressi indiscriminati, ma occorre una politica coordinata che persegua, oltre che la stabilizzazione politica di Paesi come Libia e Siria e aiuti allo sviluppo per il rimpatrio assistito in condizioni di sicurezza, “quote” di ingresso nei vari paesi europei per migranti e richiedenti asilo bisognosi di protezione. Senza una politica coordinata che comprenda queste tre misure - stabilizzazione, aiuti e quote migratorie - il cordoglio per le vittime di immigrazione resta una ipocrita formalità».

Secondo gli analisti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono due le principali tendenze che emergono dai dati: «il fatto che rotte ormai consolidate come il corridoio che collega l’America latina a quella del Nord e il Mediterraneo centrale continuano a essere percorse costantemente, nonostante i tentativi dei paesi di destinazione di frenare i flussi; la seconda è legata al significativo ruolo che social media e le nuove tecnologie compiono nel rilevamento degli incidenti».

I migranti, non importa quanto basso sia il loro livello di educazione o quanto siano poveri «sono in continua comunicazione con chi segue il loro percorso – spiega Joel Millman, che per l’Oim ha documentato gli incidenti del 2016 in Europa, Africa e America latina – molte volte sono i migranti stessi a denunciare per primi la morte dei compagni di viaggio».

Immagine: By Official U.S. Navy Page from United States of AmericaU.S. Navy photo/U.S. Navy - Distressed persons wave after being transferred to a Maltese patrol vessel., Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30911859

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