Guai a quelli che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro!
Isaia 5:20
Infatti a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme. Egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno
I Pietro 2, 21-22
Viviamo nell’era delle bufale. Non so voi, ma io non ne posso più. Una cosa è descritta come fosse un’altra e così facendo, si insinuano atteggiamenti, pensieri che alimentano il sospetto, che nutrono la paura e che ledono la convivenza pacifica.
Non chiamando le cose con il proprio nome, non solo si distorce la realtà, ma non riusciamo nemmeno a assumere atteggiamenti e modi di agire giusti di fronte alla realtà che ci si presenta. Ad esempio: un attacco violento in una capitale occidentale è subito definito come terrorismo, un attacco simile in una capitale nel Medio Oriente è definito come un’azione kamikaze. Negando che si tratti della stessa matrice, si mettono in atto strategie diverse, che difficilmente arrivano alla radice del problema. Dare il giusto nome alle cose è molto importante, ha a che fare con la nostra vita. La stessa cosa accade quando si parla di un femminicidio ascrivendo il movente a un raptus. Se non chiamiamo le varie realtà con il proprio nome, non possiamo impegnarci in modo appropriato per vincere le situazioni di morte.
Ciò che è vita bisogna chiamarla con il proprio nome, ciò che è morte anche. Invece ciò che è morte ci è spesso venduto con ragionamenti apparentemente logici, che ci traggano in inganno, che fanno parlare più la pancia che non la mente, il buon senso. Già saremmo aiutati un bel po’, se usassimo il buon senso. Un buon discernimento fra ciò che serve alla vita e ciò che non serve alla vita non è una cosa scontata. Vedere ciò che nutre la convivenza pacifica e la fiducia è di un’importanza vitale. Il profeta Isaia l’aveva capito bene, adesso tocca a noi!