Il Natale a scuola e la laicità
29 dicembre 2016
Se laicità significa vivere in uno spazio aperto di dialogo dove le espressioni di fede possono essere condivise, la scuola può fare dei passi avanti
Torniamo sul tema della laicità a scuola, riprendendo una notizia di poco prima di Natale: a Flero, in provincia di Brescia, si è accesa la polemica per una modifica ai canti di Natale, decisa in nome del rispetto alle altre culture e religioni. Alcuni hanno parlato di censura, ma l’impressione è che si sia trattato in realtà di un tentativo di inclusione e apertura. Ne parliamo con Anne Zell, pastora della chiesa valdese di Brescia.
Parliamo spesso di discussioni sulla laicità a Brescia. È un segnale positivo?
«La mia impressione è che la convivenza funzioni abbastanza bene. Dovremmo leggere queste notizie in positivo, perché evidentemente nelle scuole c’è un tentativo di inclusione. Forse sono tentativi maldestri, che danno la possibilità di essere strumentalizzati. Essere una scuola laica, secondo me, non vuol dire che non si possa chiamare il saggio “festa di Natale”. Non credo che nessuna famiglia di altre religioni diversa da quella cristiana si offenderebbe. Nella scuola di mia figlia, nel centro di Brescia, un istituto molto interculturale, viene fatta la scelta di non cantare inni su Gesù, ma il nome Natale viene usato per numerosi momenti comuni, come la cioccolata di fine anno. Sempre in quell’occasione, hanno per esempio cantato We Are the world, una canzone che mantiene lo spirito del Natale, fatto di pace, convivenza e solidarietà, ma in chiave laica. La mia posizione è che si possa fare un inno natalizio se contestualizzato e se poi si dà la giusta visibilità anche alle altre feste religiose: in questo modo diventa un’occasione pedagogica. Facendo questo intervento, però, spesso si viene giudicati male, perché alcuni dicono che sia necessario insistere sulla tradizione cristiana. Ma in ogni caso “scuola laica” non vuol dire che non ci possano essere espressioni di una cultura religiosa, ma piuttosto un luogo aperto dove la conoscenza è reciproca e fa crescere».
Laicità in questo senso si traduce nel valorizzare la pluralità, e non annullare le differenze?
«Sì, naturalmente tenendo conto dei casi particolari, con il polso di chi conosce la situazione. Quest’anno, per esempio, ci sono arrivati gli auguri del Centro islamico e dalla comunità sikh, così come noi facciamo gli auguri per la fine del Ramadan. L’importante è che ci sia una consapevolezza degli altri, perché si può convivere bene anche nelle differenze. Per le discussioni teologiche, poi, ci sono altri luoghi. Se le forze politiche vogliono strumentalizzare queste situazioni è un peccato, anche perché spesso chi difende la tradizione cristiana, in altre occasioni non dimostra di conoscerla bene».
La scuola è un luogo adatto in cui festeggiare il Natale?
«È il luogo giusto se l’argomento viene tematizzato, così come avviene in alcune scuole per la fine del Ramadan. Se i contenuti sono condivisi ha un senso e aiuta a non cadere in polemiche sterili».
Le comunità religiose prendono posizione in queste situazioni?
«In altre occasioni l’abbiamo fatto, come sul caso del crocifisso in aula. Ora vedremo a inizio anno, anche con il Tavolo delle religioni di Brescia, se sarà utile avere una presa di posizione da parte del Centro culturale islamico. Per ora non conosciamo le diverse sensibilità su questo specifico tema».
Sarà quindi da affrontare nel Tavolo delle religioni di Brescia?
«Sì. Le scuole sono luoghi privilegiati per imparare bene la convivenza rispettosa delle varie culture. Per quanto riguarda il Tavolo, è in programma un grande festival interculturale per il mese di giugno nel quale il canto sarà centrale come espressione delle diverse religioni. Sarà un’occasione per approfondire questi temi e per sottolineare che per noi laicità non vuol dire cancellare le diverse identità e tradizioni. Piuttosto, significa vivere in uno spazio aperto di dialogo dove le espressioni di fede possono essere condivise, dialogate e dare occasione per una conoscenza reciproca».