Un vento nuovo soffia su Poggioreale?
27 ottobre 2014
Intervista al dr. Antonio Fullone, da luglio nuovo direttore del penitenziario partenopeo
Nei giorni 26-28 marzo 2014 una delegazione della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo realizza un’ispezione in tre carceri italiani. Oltre a Rebibbia Nuovo Complesso e Rebibbia Femminile viene visitato il penitenziario di Poggioreale a Napoli: il più grande e sovraffollato d’Europa, con il più alto numero di suicidi, l’inferno dove più volte sono stati denunciati trattamenti disumani, abusi, violenze gratuite a danno dei detenuti. A seguito della visita, la delegazione traccia una spietata radiografia delle pessime condizioni carcerarie. Segue un cambio al vertice e a luglio arriva il nuovo direttore, il dottor Antonio Fullone, classe 1965, che lascia il carcere di Lecce, divenuto in due anni una delle strutture che offre migliori condizioni di rieducazione ai reclusi. Soffia un vento nuovo su Poggioreale?
Di questa idea è Michele Altieri, ispettore di polizia a Poggioreale da 21 anni e membro della chiesa pentecostale Nuova Pentecoste di Aversa. È lui che mi sollecita a intervistare per Riforma il dottor Fullone, che mi riceve con grande disponibilità.
Qual è la situazione attuale di Poggioreale?
«Circa un anno fa questo istituto è arrivato a detenere anche 3000 persone. Oggi vi sono 1860 presenze. La struttura dovrebbe contenere poco più di 1600 persone, quindi, attualmente siamo sopra il livello tollerabile».
Come è stato possibile realizzare questa riduzione dei numeri?
«Nel gennaio 2013 la Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, con la sentenza Torreggiani, ha condannato il governo italiano per il sovraffollamento delle carceri. A seguito di quella condanna ci sono stati alcuni interventi di carattere normativo grazie ai quali in un anno e mezzo il sistema penitenziario nazionale ha perso circa 10-12 mila detenuti. A livello nazionale vi è stato il ricorso alla liberazione anticipata speciale, mentre a livello locale è stato possibile spostare nella stessa regione o fuori regione alcuni detenuti. Questa duplice azione ha fatto sì che in estate fossero presenti a Poggioreale 1700 detenuti. Certo, nell’ultimo mese questo istituto ha visto un ingresso medio giornaliero di 15-20 persone che arrivano dalla libertà. Occorre, dunque, vigilare perché il rischio di ritornare ad una situazione di sovraffollamento esiste».
Contestualmente al suo arrivo, a Poggioreale è diminuito il numero di persone per cella; sono aumentate le ore d’aria; è stato riaperto il laboratorio di falegnameria e inaugurato uno di pasticceria; sono state ristrutturate alcune sale, tra cui quella adibita ai colloqui; è stato ripulito un giardino dove i familiari possono incontrare i propri cari. È iniziata una nuova stagione per Poggioreale?
«La stagione dei cambiamenti vera e propria non è ancora iniziata, ma il primo intervento è stato quello di rasserenare il clima nel quale vivono dipendenti, amministrazione e detenuti. Lavorare in una situazione di sovraffollamento è una condizione di grandissimo stress sia per le persone detenute, che vedono ridotta la qualità della propria vita, sia per il personale che deve fronteggiare l’emergenza. Poi è iniziato un lavoro di recupero degli ambienti detentivi a cui stiamo cercando di restituire maggiore dignità».
Secondo lei, qual è la percezione che i cittadini hanno del carcere di Poggioreale?
«Il rapporto tra istituzione penitenziaria e territorio non è mai facile perché quando si parla di criminalità entrano in gioco aspetti emotivi che toccano le corde più intime delle persone. Il dialogo tra carcere e società oscilla su un pendolo che va dalla forte attenzione alla forte repulsione, quasi separazione. Questo rapporto contraddittorio è a Napoli forse più esasperato che altrove perché viviamo in un territorio molto flagellato non solo dalla situazione sociale ma anche dalla criminalità. Questo fa sì che tantissime persone abbiano incrociato nel corso della loro vita la criminalità, anche spicciola - che è quella più soffocante - che genera insofferenza, addirittura rabbia nei confronti dei detenuti. Lo sforzo che cercheremo di fare è di rendere un po’ meno emotivo questo rapporto e di comprendere che il problema si risolve affrontandolo. Come? Lavorando affinché il carcere sia vissuto da parte della cittadinanza e delle istituzioni come luogo attivo in cui i detenuti possono compiere un percorso di miglioramento. Sono circa 7-8 mila le persone all’anno, provenienti soprattutto dagli strati socialmente più emarginati, che entrano in contatto con l’istituzione penitenziaria. Questo significa poter incontare tante esistenze individuali e familiari alle quali offrire messaggi di carattere sociale, educativo, civico. Non è semplice, però questa è l’idea di carcere che ho sempre coltivato».
Può un luogo come il carcere avere un volto più umano?
«Sicuramente sì. Sono convinto che il carcere sia un luogo che ha la funzione di miglioramento, recupero e socializzazione del detenuto. E il presupposto perché questo accada è la difesa quotidiana della dignità dei detenuti che passa, ad esempio, attraverso un ripensamento delle coordinate dello spazio e del tempo che in carcere sono fondamentali. Per quanto riguarda gli spazi stiamo investendo nel recupero di ambienti per la collettività dove vivere una dimensione sociale diversa. Sul versante del tempo, invece, stiamo cercando di spalmare le attività lungo tutto l’arco della giornata, superando la cesura tra la mattina - nel corso della quale sono concentrate tutte le attività - e il pomeriggio. Inoltre dal mese prossimo allargheremo il numero delle persone che partecipano alle attività lavorative, professionali, e di intrattenimento. Stiamo cercando pian piano di introdurre il regime di “celle aperte” con i detenuti che possono stare fuori dalle camere di pernottamento per almeno 8 ore giornaliere potendo utilizzare gli spazi comuni. Chiaramente è un processo graduale e, per una struttura come Poggioreale che risente di una carenza di spazi drammatica, è necessario uno sforzo di fantasia. Ma questa è per me una sfida che va accolta».
Tutto risolto a Poggioreale? No, il cammino è ancora lungo e complesso. Ma le novità introdotte in questi pochi mesi sono incoraggianti. Poi, sapere che a dirigere questo luogo di grandi sofferenze e criticità c’è quest’uomo che, per tutto il tempo della nostra conversazione, si è posto in un atteggiamento di disponibilità e apertura, accompagnato da un sereno sorriso, fa sperare che un vento nuovo stia cominciando a soffiare su Poggioreale.