Per primi, i numeri: affluenza totale al 65,47%, sui livelli del referendum sul nucleare del 1987, segno dell’attesa che questa tornata ha saputo generare.
Ha vinto il no con il 59,11% contro il 40,89% di sì. 6 milioni esatti di voti di differenza, un abisso.
Il referendum confermativo si è reso necessario perché la riforma in questione era stata approvata con una maggioranza inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna camera, e questo è stato il peccato originale che ne ha portato anche all’affossamento. Una profonda modifica della Costituzione non condivisa: difficile quindi passare attraverso le forche caudine delle urne con un prodotto elaborato da una sola parte politica.
Il senatore di Forza Italia Lucio Malan, valdese, non nasconde la soddisfazione per il risultato: «Oggi provo una grande contentezza perché gli italiani, nonostante il martellamento mediatico schiacciante a favore del sì e la presa di posizione dei notabili italiani e stranieri, dal presidente degli Stati Uniti a quello dell'Unione europea, hanno votato con la propria testa e hanno deciso che è meglio avere più sovranità popolare. Un grande successo per la democrazia e anche una grossa responsabilità per chi ha sostenuto questa battaglia. Le aspettative adesso sono forti e non dobbiamo deludere chi ha votato no».
Sul motivo della vittoria del no, Malan non ha dubbi: «Non è stata una questione di parte: gli italiani sono andati in massa alle urne, con un'affluenza che non si era vista né per le elezioni amministrative né per le europee, per ribadire che al di là degli schieramenti, vogliono decidere del proprio futuro. Sono andati a votare per una questione che poteva sembrare astratta ma che invece è stata percepita come importante: e questo riflettere sul senso della democrazia è un merito che bisogna riconoscere a Renzi. Speriamo che ora non perdano l'abitudine e che le forze politiche rispondano con proposte valide».
«Non è stata una sconfitta del sì, come ha detto qualcuno cercando di ridimensionare il risultato – ha concluso il senatore Malan – mentre un eventuale successo del sì sarebbe stato da attribuire al premier, la vittoria del no non si può attribuire a un leader politico, visto lo schieramento eterogeneo che aveva alle spalle. La gente ha votato al di là delle indicazioni di partito: la vittoria del no è una vittoria di popolo».
Anche dal fronte del no opposto viene valutata con favore l’alta partecipazione popolare: «dato estremamente positivo» commenta a caldo l’onorevole Luigi Laquaniti, valdese, membro del Partito Democratico: « Coloro che volevano conservare l’esistente hanno prevalso sui tanti di noi che proponevamo di adeguare e migliorare una parte della Costituzione italiana. Ne prendiamo atto. Il voto popolare in democrazia non si discute, si accetta».
Per Laquaniti il referendum ha assunto invece i connotati di un voto politico e «l’alta affluenza ne è la riprova. Purtroppo questo referendum non si è giocato sul merito delle proposte di modifica alla Costituzione. La vittoria del no è dunque una vittoria politica e ha molti padri. Un gruppo variegato di partiti, di minoranze di partiti, di movimenti, associazioni, le più disparate, che hanno strategie molto differenti, talora opposte l’una all’altra. Una coalizione eterogenea, unita solo dall’esser contro».
Oggi prevale la voglia di andare oltre, di superare una contrapposizione che ha esacerbato il clima del paese, con tanto di barricate e guerre senza quartiere : «vi è la necessità di lasciarsi alle spalle una lunga ed esasperata campagna referendaria, che per alcuni tratti si è trasformata in rissa politica. E’ necessario per il bene del Paese recuperare toni più sobri. Vi è la legge elettorale da adeguare, vi sono importanti appuntamenti economici, finanziari, internazionali. Tocca al Presidente Mattarella adesso risolvere la crisi al buio che dopo il risultato referendario si apre. Il Governo Renzi si era speso in Europa per il superamento dei vincoli di bilancio, che hanno strozzato le economie nazionali, e per una politica di accoglienza che coinvolgesse tutti gli Stati in ossequio al Trattato dell’Unione europea. E le politiche di accoglienza, ben testimoniate del resto dal progetto italiano dei Corridoi umanitari, rischiano di naufragare davanti all’imperversare di Governi populisti o di destra. Forse è destinata a ritornare l’Europa delle piccole patrie, con quel cuore di tenebra che hanno iscritto nel proprio corredo genetico. La sfida che abbiamo davanti è quella di non far fallire il sogno nato con l’Europa di Lisbona. Ma da oggi è tutto molto più difficile».