È post-truth (post-verità) la parola dell’anno individuata dall’Oxford Dictionary, attraverso la quale si indica la condizione in cui i fatti oggettivi hanno meno influenza nel plasmare l’opinione pubblica di quanta ne esercitino invece le emozioni o le convinzioni personali.
«Complici – si legge sul sito dell’Associazione Carta di Roma che riporta i dati statistici recentemente realizzati da Ipsos-Mori – gli eventi del dibattito pubblico internazionale nel 2016: da Brexit alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti», una tendenza che ha portato all’utilizzo del termine post-verità sui media del 2000% superiore rispetto al 2015.
Una chiave interpretativa, quella della post-verità, che si può accostare anche al tema dei flussi migratori e delle minoranze, e dove gli italiani, così è risultato, hanno una percezione alterata della società in cui vivono: l’Italia nel 2015, risulta al decimo posto nel mondo per la sua visione distorta della realtà, su una classifica che ha visto 33 paesi analizzati, attraverso un «indice», quello dell’ignoranza. Il Regno Unito ci segue a poca distanza, come tredicesimo.
Sulla percezione che gli italiani hanno rispetto al fenomeno migratorio, una delle domande poste agli intervistati, nel 2015, era: «Qual è, secondo lei la presenza di immigrati nel territorio nazionale» e quale «fetta» di popolazione essi rappresentano? Il valore medio indicato dagli italiani è stato del 26%, ossia superiore di quasi tre volte il dato reale di allora, che si attestava invece sul 9%; i cittadini britannici indicavano invece un 25%, dunque poco meno del doppio della percentuale reale, del 13%.
«Esiste una forte resistenza a modificare le tesi precostituite su questo tema – rileva Nando Sigona, sociologo direttore dell’Institute for Research into Superdiversity presso l’Università di Birmingham –. Se in una ricerca, ad esempio, si evidenzia che gli immigrati contribuiscono significativamente all’economia nazionale attraverso il pagamento di contributi e tasse, questa informazione, spesso non è recepita; altri studi ancora dicono che, facendo leva su una maggiore emotività, solitamente si fa più breccia nell’opinione pubblica».
Nel 2015, proprio il Rapporto annuale pubblicato dall’Associazione Carta di Roma (da quest’anno sostenuto attraverso i fondi Otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi) rilevava che sulla carta stampata e nei telegiornali nazionali e locali, fosse diffusa la tendenza ad un linguaggio ansiogeno, talvolta allarmistico, o orientato verso la sfera emotiva e intima del telespettatore. Oggi non possiamo dimenticare anche il ruolo dei social media ricorda, ancora la ricerca: «Facebook, ad esempio, fornisce molte informazioni e notizie agli utenti – prosegue Sigona – ma quelle false si diffondono molto più in fretta, proprio perché ideate e studiate con questo preciso obiettivo».
Un ruolo cruciale, dunque, è quello giocato dalle fonti: «Nel caos e nella confusione dell’informazione che passa attraverso la rete, che è anche una ricchezza per tutti noi, spesso però si celano informazioni false e volutamente fuorvianti, quando non aggressive e lesive – ha detto a Riforma.it Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma –. Questo tipo d’informazione, dunque, impone molto rigore nella ricerca delle fonti e nella loro fondatezza. Oggi vi è la necessità di cercare direttamente le fonti dalle quali è partita la notizia, quando non è possibile raggiungere direttamente il “luogo” dove è avvenuto il fatto o chi ha rilasciato “la dichiarazione”. Questo è l’unico strumento che abbiamo per poter produrre informazioni certificate e credibili. Frequentemente – prosegue Bellu – accade anche che organi di informazione qualificati, per fretta o superficialità, cadano nella rete della bufala o della falsa notizia scatenando un effetto domino pericoloso e lesivo per la credibilità di tutta la categoria giornalistica».
Il prossimo 19 dicembre, alle 11.30, presso la Camera dei Deputati (Sala Aldo Moro), sarà presentato il IV Rapporto Carta di Roma, che fotografa un anno di racconto di migrazioni e minoranze: nell’agenda di quotidiani e Tg quanto spazio sia stato riservato al tema; quale linguaggio sia stato utilizzato per raccontarlo; quali siano state le buone pratiche emerse; quanto, i social media, abbiano contribuito alla diffusione dei discorsi d’odio (hatespeech). Un rapporto i cui dati sono stati elaborati dall’Osservatorio di Pavia, in collaborazione con l’Osservatorio europeo per la sicurezza, un progetto sostenuto dall’otto per mille valdese. All’incontro parteciperanno la presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma, Paola Barretta, Ilvo Diamanti, Attilio Bolzoni, Maria Cuffaro e Karl Hoffmann.
«Il rapporto redatto l’anno passato – prosegue Bellu – segnalava un aumento esponenziale di articoli dedicati al tema dell’immigrazione. Un aumento che quest’anno si è consolidato perché il tema è ormai entrato nell’agenda europea; il dato interessante che emerge quest’anno, per dare una piccola anticipazione, indica quanto ormai siano davvero in tanti a parlare di migrazioni, quanti giornalisti siano stati “arruolati” o si siano improvvisati, per parlare di un tema che, fino a poco tempo fa, era affrontato da pochissimi redattori esperti e specializzati in materia. Oggi il tema è diventato comune, dunque, spesso riscontriamo molta e grave approssimazione, e imprecisioni, nel modo di affrontarlo e divulgarlo. Quello delle migrazioni, di rifugiati e richiedenti asilo è invece un tema molto delicato e che mette alla prova la capacità professionale del giornalista e di tutta la categoria; possiamo dire, per usare un esempio: si vede quando un medico è bravo quando opera su un corpo di un malato, e se è in grado di salvare la vita o almeno tutelarla accompagnarla nel dolore, in quel caso il medico dimostra la sua bravura; noi, categoria giornalistica, siamo chiamati ad essere bravi medici».