Dai primi anni Novanta, il Dossier Statistico Immigrazione raccoglie e mette al servizio degli italiani dati certi e verificabili sui fenomeni migratori che investono il nostro paese. Un’opera meritoria che per il secondo anno consecutivo si è valso dell’apporto della rivista interreligiosa «Confronti» e del sostegno dell’Otto per mille delle chiese metodiste e valdesi. Da queste pagine abbiamo dato notizia della presentazione del volume – avvenuta nelle principali città italiane proprio il 27 ottobre, in occasione della XV giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico – ma non abbiamo ancora tentato una summa di un affresco ricchissimo di dettagli e di spunti di riflessione. Ai numeri, soprattutto se attribuiti a esseri umani, si imputa spesso il limite di non scaldare il cuore. Ma quando, con sapienza divulgativa, i dati vengono collocati sulla carta geografica del mondo, ecco che anche le cifre si mostrano portatrici di vita pulsante, veicolo di empatia umana: sentimenti al servizio di chi è poco avvezzo a ragionare in termini mondiali e di chi, forse anche in quanto cristiano, si ritiene al contrario sufficientemente aperto all’accoglienza del diverso.
Partiamo, dunque, dal planisfero. Se con la parola «migrante» intendiamo una persona che ha lasciato il proprio paese d’origine, su una popolazione mondiale stimata attorno ai 7 miliardi, i migranti nel mondo sono 244 milioni (circa il 3.5% degli esseri umani). Di questi, 65.3 milioni sono «migranti forzati»: persone in fuga da guerre, scontri politici, dittature, corruzione, dissesti finanziari, disastri naturali, persecuzioni, povertà. Secondo una stima dell’Unhcr cui il Dossier fa riferimento, ogni minuto che passa sul pianeta Terra 24 persone sono costrette ad abbandonare la propria casa. Questi flussi globali, in parte strutturali in parte storicamente determinati, investono anche quel lembuccio di terra a forma di scarpone che si bagna nel Mediterraneo.
Sullo scenario internazionale, l’Italia (60.5 milioni di abitanti) si distingue non soltanto per i 5.026.153 cittadini stranieri residenti sul suo territorio (8,3% del totale), ma anche per i 5.202.000 italiani residenti all’estero – un dato, quest’ultimo, che giustamente il Dossier calcola a partire dalle anagrafi consolari, perché non tutti gli italiani che di fatto risiedono all’estero sono iscritti all’Aire. Nel 2015, sono stati 200.000 gli italiani che hanno lasciato il Bel Paese, a fronte di un incremento di appena 12.000 unità nella popolazione straniera residente in Italia. Queste cifre, già di per sé eloquenti sull’incapacità dei nostri media e dei nostri politici di descrivere il reale «saldo migratorio» nazionale, non vanno però isolate dal loro contesto. Proprio qui risiede il primo merito analitico del Dossier: il cui racconto molto spesso ribalta la narrazione dominante dell’«invasione», ma senza per questo prestare il fianco ad un «buonismo» di segno opposto, che nel nome della causa dell’accoglienza talvolta seleziona e stiracchia i dati in maniera altrettanto strumentale. Dentro ad un numero di stranieri regolari apparentemente stabile, spiega con precisione il Dossier, si agitano infatti cause e concause in movimento: nel corso del 2015, 45.000 stranieri hanno lasciato l’Italia, 64.000 non hanno visto rinnovato il loro permesso di soggiorno, 178.000 hanno acquisito la cittadinanza italiana, 72.000 bambini stranieri sono nati su suolo italiano. Con l’esclusione di quest’ultimo dato – che, anche isolato, pone in tutta la sua urgenza la questione di una nuova legge sulla cittadinanza – i primi tre numeri, se presi singolarmente, si prestano alla narrazione faziosa di un’«Italia in crisi», di un’«Italia securitaria», di un’«Italia accogliente». Tre modi diversamente sbagliati di descrivere una realtà complessa.
Una realtà, troppo spesso lo dimentichiamo, che collocandosi all’interno di un’Europa politica, cambia al variare di fattori non sempre riconducibili alla nostra sfera statuale, da cui fatichiamo ad alzare lo sguardo. Si prenda l’eclatante caso del milione e 151 mila rumeni residenti in Italia, che da soli rappresentano oggi il 22,9% degli stranieri su suolo italiano – seguiti da albanesi (9,3%), marocchini (8,7%), cinesi (5,4%) e ucraini (4,6%). Quando, il 1° gennaio 2007, la Romania è divenuta paese membro dell’Ue, i membri della prima comunità straniera del nostro paese hanno assunto su di loro la cittadinanza europea: non più bisognosi di permesso di soggiorno, la condizione di quelle persone e la loro relazione con il nostro paese sono mutate radicalmente, e tutto ciò avvenne a prescindere dalle misure intraprese a livello nazionale. E veniamo, appunto, all’Unione europea, a quel costrutto politico che con i suoi trattati a diverse velocità ha reso la parola «stranieri» ancora più vaga, poiché incapace di distinguere giuridicamente tra «comunitari» e «non comunitari» (che in Italia, tanto per intenderci, sono 3.981.169 dei cinque milioni di cui sopra). Se, oggi, «Schengen» suona alla stregua di una brutta parola – talvolta persino alle orecchie di chi sa che è all’interno dei suoi articolati che è disponibile il meccanismo per attivare i corridoi umanitari! – non è per i confini aboliti tra 26 Stati europei, un lungimirante fatto di pace che non conosce precedenti storici, ma per le carenze mostrate alla frontiera esterna dell’Unione: una impasse da ascrivere alla miope indisponibilità dei diversi paesi Schengen a condividere gli oneri e le responsabilità comuni derivanti dal vantaggio di aver abolito i confini interni. È proprio sui temi dell’immigrazione irregolare e dell’accoglienza umanitaria che il Dossier mostra il suo secondo merito: nelle sue pagine l’Unione europea non viene né difesa né vilipesa acriticamente. Nel 2015 gli sbarchi sull’Europa mediterranea hanno coinvolto più di 1 milione di persone: 850 mila in Grecia, 150 mila in Italia. Il 49% di quelle anime venivano dalla Siria: un paese di 23 milioni di abitanti, la cui deflagrazione ha prodotto, dal 2011 a oggi, più di 250 mila vittime. Si stima che nel corso di una guerra che non accenna a finire 1 milione di siriani si sia trasferita in Libano, mentre 2.5 milioni risiederebbero in Turchia. Nel corso dell’anno passato, 1 milione di cittadini siriani sono stati accolti in Germania, lo stesso paese che nel marzo scorso ha guidato il discusso accordo tra Ue-Turchia. A seguito di quel patto, che il tentato golpe anti Erdogan ha congelato (al momento i tanto celebrati visti europei ai cittadini turchi non sono stati concessi), gli sbarchi sulle coste greche sono diminuiti drasticamente (da gennaio ad agosto 2016 sono stati «solo» 163.068); per converso però, è cresciuto il numero di vittime sulle rotte del Mediterraneo centrale – ne sa qualcosa l’Italia, la cui marina intercetta o soccorre imbarcazioni provenienti per l’82% dei casi dalla Libia.
Collocando l’Italia in vivo dialogo con questo intricato (e drammatico) quadro internazionale, il Dossier sviluppa infine ipotesi e proiezioni sul nostro futuro nazionale: a livello demografico, previdenziale, occupazionale e religioso. Non sto qui a riscrivere peggio ciò che è già spiegato benissimo nelle sue pagine. Sui famigerati «costi dell’immigrazione» può fungere da «medicina contro il qualunquismo» ricordare che limitatamente alle pensioni d’invalidità, vecchiaia e superstiti, la popolazione immigrata, in minima parte fruitrice della sicurezza sociale, nel solo 2015 hanno contribuito con un gettito di 10.9 miliardi di euro. Per quanto invece concerne il fatto religioso, è sotto gli occhi di tutti come le fedi, vissute dagli immigrati anche come fattore identitario, stiano riportando la dimensione religiosa in uno spazio pubblico che sia in Europa che in Italia si presenta livellato dalla secolarizzazione. Al paese che non riesce a parlare di libertà religiosa senza agitare la paura della moschea, il Dossier ricorda un dato a quanto pare troppo banale per essere ripreso: il 53% degli immigrati in Italia professa la religione cristiana (i musulmani, peraltro percentualmente in calo, sono il 32%). Al paese che fatica ad uscire dall’erronea contrapposizione casalinga tra «laici e cattolici» (come se i «laici» fossero tutti «atei» e i «cristiani» tutti «cattolici»), il Dossier propone invece un attualissimo e strategico inserimento del tema del pluralismo religioso all’interno del discorso sulle migrazioni. A tutti coloro che in questo mondo globale si sentono sperduti e spauriti, a chi avverte dentro di sé la comprensibile tentazione di volersi chiudere nel proprio orto, questo studio fornisce – o meglio fornirebbe, se adeguatamente raccontato da chi ci governa, perché difficilmente a Natale lo troveremo negli autogrill – un romanzo credibile dell’umanità del presente. Insieme alla consapevolezza, figlia della responsabilità, che di quelle pagine ognuno di noi è coautore.