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Il “regno del Prete Gianni” in una leggenda del Medioevo

La descrizione di mondi lontani e i rapporti tra ebrei e cristiani

Fra XII e XIV secolo, in varie parti d’Europa conobbe straordinaria fortuna la Leggenda del Prete Gianni, dal nome di un misterioso personaggio, re e sacerdote di una lontana regione orientale, autore di una lettera rivolta ai potenti del tempo. Il suo regno, descritto in termini stupefacenti, si estendeva attraverso l’India e il deserto di Babilonia, fino alla torre di Babele. La Lettera è stata dunque a lungo all’origine di un mito che per secoli ossessionò viaggiatori, storici, cronisti e narratori.

Essa, tuttavia, non è soltanto un affascinante documento dell’idea del mondo nel medioevo, con la sua fioritura di meravigliose descrizioni di paesi lontani e ignoti, ma è anche un luogo letterario in continua evoluzione, testimone dei cambiamenti in corso nei rapporti fra cristiani ed ebrei, in relazione alla concezione dei poteri politico e spirituale fra medioevo e prima età moderna.

Il libro di Marco Giardini* affronta la produzione, la circolazione e l’interpretazione della tradizione testuale della Leggenda, esaminando e confrontando le varie fonti conosciute. L’intento della lettera, di cui circolarono differenti versioni, con varianti anche significative e trasmessa in latino e in lingue volgari era, oltre a quello letterario, anche quello di propagandare la crociata contro i saraceni per la definitiva riconquista della Terrasanta.

Fra i molti aspetti di interesse della Leggenda, la redazione latina – oggi ritenuta la più antica, risalente agli anni Sessanta del XII secolo, prodotta in area germanica alla cancelleria imperiale sveva di Federico Barbarossa – contiene, all’interno della descrizione del meraviglioso regno del Prete Gianni, una menzione delle dieci tribù d’Israele considerate «perdute» in seguito alla deportazione nel regno assiro. La riflessione ebraica post-biblica avrebbe fantasticato sul destino di quelle tribù, ipotizzandone l’assimilazione alle popolazioni locali e giustificandone la dispersione nelle gravi colpe imputate agli israeliti prima della distruzione del loro regno, consistenti nella contaminazione con culti e usanze straniere (come narrato nel secondo Libro dei Re).

Il pensiero ebraico della diaspora avrebbe invece ipotizzato un’altra soluzione, ovvero che le dieci tribù, governate da un re, non fossero state completamente assimilate o disperse, ma che fossero riuscite a conservare la propria identità ebraica in un luogo inaccessibile, impedendo loro di essere escluse dal destino di redenzione riservato alle tribù di Giuda e di Beniamino. Tuttavia, a ostacolarne il ritorno vi sarebbe stato l’impetuoso fiume Sambatyon, che ne delimitava il territorio, attraversabile soltanto il sabato, proprio il giorno in cui gli obblighi religiosi non lo rendevano possibile. Pertanto, in un giorno non lontano, l’interruzione del flusso del fiume sarebbe stato un segno divino che avrebbe annunciato l’avvento dell’età messianica. Questo particolare, presentato in modi differenti nelle varie redazioni del testo, circolò ampiamente anche in ambito ebraico, fra XV e XVI secolo.

In ambito cristiano, il testo sollevava vari problemi spinosi: per esempio, il fatto che le tribù fossero governate da un re andava contro la convinzione, sancita da Innocenzo III, della «servitù perpetua» dei giudei, che traduceva sul piano canonico il concetto agostiniano della sottomissione degli ebrei ai cristiani finché non fosse sopraggiunta la loro conversione finale. Poco dopo la prima redazione del testo, le nuove versioni della Leggenda furono influenzate dal clima antiebraico della fine del XII secolo, quando i cristiani presero coscienza dei testi ebraici di origine post-biblica, in particolare del Talmud, visto in contrapposizione all’autorità e all’interpretazione cristiana dell’Antico Testamento.

Si andarono così aggiornando le motivazioni e le aspettative politiche e religiose, sovrapponendo all’impianto originario interpretazioni che assimilavano le tribù perdute alle mitiche popolazioni di Gog e Magog, le «ferocissime nazioni» che, secondo una leggenda, furono rinchiuse da Alessandro Magno in una regione situata tra il Mar Caspio e altissime montagne invalicabili. L’eroe macedone sarebbe stato dunque investito di una missione provvidenziale per impedire loro di dilagare e devastare il mondo, in attesa della definitiva resa dei conti con l’Anticristo. Proprio in quegli anni, infatti, giungevano alle orecchie degli europei le terribili notizie di popolazioni nomadi (i mongoli) lanciate a gran velocità verso occidente. Le attese escatologiche di ebrei e cristiani andarono così progressivamente (e specularmente) rinnovando il testo, prospettando un’era di sconvolgimenti, caratterizzata da sentimenti di segno opposto: mentre per i cristiani si trattava della fine del mondo (anche se alcuni la lessero come l’opportunità di far tabula rasa e dar vita a una nuova era, sulla scia del pensiero di Gioacchino da Fiore), per i «figli d’Israele» quelle popolazioni, a cui veniva attribuita un’origine ebraica, guidate da un mitico re «Davide», potevano significare l’avvento dell’età messianica.

Il libro tocca molti altri aspetti del rapporto fra cristiani ed ebrei e all’interno delle due religioni, a cui possiamo solo accennare: le manifestazioni di antigiudaismo cristiano, il problema della regalità nel mondo ebraico, gli aspetti dottrinali e simbolici della leggenda, le interpretazioni dei qabbalisti, le interpretazioni simboliche della figura del Prete Gianni, le mappae mundi medievali in relazione alla successione degli imperi universali.

Da questo fruttuoso intreccio fra le due leggende, quella del regno del «Prete Gianni» e quella delle dieci tribù perdute d’Israele, ricostruite nelle loro motivazioni e nella diffusione diversificata all’interno delle due comunità religiose, emerge, in modo sfaccettato e non privo di contraddizioni, un altro aspetto della complessità delle relazioni tra ebraismo e cristianesimo (e islam).

* Marco Giardini, Figure del regno nascosto. Le leggende del Prete Gianni e delle dieci tribù perdute d’Israele fra Medioevo e prima età moderna, Firenze, Leo S. Olschki, 2016, pp. 350, euro 38,00.

Immagine: Di Abraham Ortelius - Theatrum Orbis Terrarium, 1564., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1620478

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