Signore, mi si fa violenza; sii tu il mio garante
Isaia 38, 14
Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede per noi con sospiri ineffabili
Romani 8, 26
Noi credenti viviamo in una specie di interim, un tempo di mezzo tra gli eventi della risurrezione di Gesù Cristo e quelli della «manifestazione dei figli di Dio». In questo tempo lo Spirito Santo ci sostiene nella speranza del futuro e nelle fragilità del presente. Speranza e fragilità non sono esperienze opposte che si escludono a vicenda, al contrario sono legate insieme nell’esperienza del credente, l’esperienza spirituale del sentirsi sostenuti in un tempo di debolezza che altrimenti sarebbe devastante.
Per questo, noi sappiamo che ogni sofferenza è ridimensionata se messa a confronto con la gloria futura. Ciò non significa sottovalutare la sofferenza umana e del creato, significa invece – nella sofferenza presente – conoscere a cosa siamo destinati, per rimanere forti nella debolezza e sperare contro speranza.
Lo Spirito Santo è l’esperienza che con Gesù Cristo si è riaperta la libera comunicazione tra Dio e l’umanità. Questa esperienza spirituale si realizza fondamentalmente nella preghiera. Senza lo Spirito Santo non avremmo comunicazione con Dio e non potremmo pregare.
Ma la preghiera non è solo parlare, è anche ascolto, non sono solo parole, ma anche silenzio.
Ho trovato questa bella poesia di James Montgomery che recita:
«La preghiera è il desiderio sincero dell’anima,
pronunciato o inespresso,
il moto di un fuoco nascosto
che trema nel petto.
La preghiera è il peso di un sospiro,
è una lacrima che cade,
è il lampo di uno sguardo che si leva
quando nessun altro è vicino se non Dio».
(in Frederick F. Bruce, L’Epistola ai Romani, Claudiana, p. 214)