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Mentre leggo il libro che la Federazione delle donne evangeliche in Italia (Fdei) ha pubblicato per i suoi quarant’anni di attività*, mi tornano alle mente le parole lette in questi giorni sulle donne scienziate: anche se hanno «competenze altissime e carriere professionali eccellenti, il loro nome e il loro parere non vengono mai citate dai media» (M. Bompani, La Repubblica, 2 novembre) e addirittura, volendo «rilanciare i profili delle scienziate selezionate su Wikipedia, ciò non è stato possibile perché non erano abbastanza enciclopedici, i loro nomi e le loro attività non erano abbastanza presenti sui media». E potrei aggiungere anche gli ottant’anni di Dacia Maraini, non festeggiati come si conviene. Due esempi perché nello scorrere della lettura del libro emerge, da parte delle diverse autrici, il percorso difficoltoso dell’emancipazione della donna e dell’impegno che le stesse hanno espresso sia nella società sia nella chiesa, in questi, appunto, quarant’anni.

Il volume tratteggia il variegato impegno di molte donne per affermare i valori dell’uguaglianza, dei diritti, delle pari opportunità, attraverso l’esperienza della ricerca teologica, della predicazione, del servizio, dell’educazione, della comunicazione e della propria attività professionale.

Il Leitmotiv dei vari interventi è l’importanza della conoscenza e della cultura per essere donne libere: conoscere e studiare la Bibbia per «scorgere i semi fecondi di pratiche di convivenza e di ascolto reciproco» al fine di costruire rapporti giusti tra uomo e donna. E al tempo stesso è cultura, nel suo significato pieno, ossia il concorso di tutte quelle conoscenze che formano la personalità, affinano le capacità di ragionamento e il senso critico, indispensabili per leggere e riflettere sugli aspetti politici, religiosi, culturali che caratterizzano gli esseri umani. Una qualità della vita (per riprendere il titolo di una serie di interventi) capace di esprimere un alto senso di responsabilità per «non essere succubi di vecchie mentalità di dominio» e poter quindi affermare il proprio valore e la propria dignità.

Nelle varie testimonianze raccolte, emerge chiara la formazione protestante e la fede che la sostiene. Le donne che si occupano di comunicazione ritengono importante, «puntare a un giornalismo di servizio» per garantire una crescita non solo culturale, ma anche civile, dove sono importanti la laicità, la storia, ma anche l’invisibilità, intesa come il riuscire a dare «una voce onesta a chi non ce l’ha». Onestà, appunto, vissuta in uno spirito di servizio. In questi quarant’anni le donne e i gruppi e le federazioni femminili delle nostre chiese sono state innovatrici, complementari e risultano, ancora oggi, scomode quando ritengono che «la riflessione teologica deve mettere in chiaro che la violenza non è da tollerare, né da capire, né da accettare». Le donne continueranno a ritrovarsi tra donne all’interno delle nostre chiese proprio per crescere, per identificare sempre meglio i propri bisogni, per evolversi e per imparare a rivolgersi agli uomini.

Un forte messaggio di trasformazione, quello che il quarantennale percorso del libro vuole affidarci. Chiudo questo libro polifonico e vero pensando come tale percorso, così ben documentato, debba continuare a essere portato avanti, inevitabilmente, dalle donne. C’è in loro una specificità ineludibile che racchiude un’enorme potenza trasformatrice. Una forza che può anche far paura a chi, dentro e fuori le chiese, di fatto non accetta né parità né reciprocità di genere.

* Dora Bognandi, Lina Ferrara e Gianna Urizio (a c. di), Innovative, complementari o scomode? – Donne delle chiese evangeliche. Roma, Edizioni Com Nuovi Tempi, 2016.

Immagine: Dora Bognandi, fotografata da Pietro Romeo

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