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Io sono il Signore e pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra
Geremia 9, 24

Si ritragga dall’iniquità chiunque pronuncia il nome del Signore
II Timoteo 2, 19

Una delle maggiori difficoltà che incontriamo tutti i giorni è, credo, quella di essere davvero coerenti con la nostra fede, cioè il tentativo di mantenere la nostra fedeltà al Signore sempre e comunque e non solo la domenica o nei minuti, pochi o tanti che siano, in cui ci dedichiamo alla preghiera quotidiana. In quanto credenti saremmo chiamati a delle scelte univoche e responsabili, mentre lavoriamo, quando facciamo la spesa, nelle relazioni che intessiamo, perché chiunque pronuncia il nome del Signore, deve esserne degno. La nostra fedeltà al Signore infatti si manifesta certamente andando in chiesa, o pregando, ma anche evitando di separare la nostra esistenza in compartimenti stagni ognuno dei quali abbia le sue leggi e le sue priorità.

Da questa separazione nasce infatti la nostra continua infedeltà, i cui risultati sono purtroppo evidenti, se consideriamo in quale mondo viviamo e quali società abbia creato il cristianesimo nel corso dei secoli. Ma non solo: da essa nasce anche il vanesio gloriarsi delle proprie capacità, quasi fossero la prova della benevolenza di Dio nei nostri confronti. Il passo di Geremia di oggi ci toglie radicalmente questa illusione quando chiarisce, nei due versetti precedenti, che cosa il Signore si aspetti da noi: che cerchiamo di conoscere la Sua volontà e di farla nostra, cioè che cerchiamo di essere davvero a Sua immagine e di conseguenza pratichiamo, come Lui, la bontà, il diritto e la giustizia. Solo questo conta, dice il profeta: non la saggezza, la forza o la ricchezza, ma il tentativo di avere come modello il Signore e Lui soltanto.

Immagine: via istockphoto.com