Il Signore compirà in mio favore l’opera sua;
la tua bontà, Signore, dura per sempre;
non abbandonare le opere delle tue mani
Salmo 138, 8
Infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo
Efesini 2, 10
Il bilancio che ricaviamo da questo versetto segna un 3 a 1 a favore di Dio. È lui che ci ha fatto venire all’esistenza, lui ci ha creati, lui ha preparato le opere buone che siamo chiamati a mettere in pratica. A noi rimane segnare quell’unico punto per il quale siamo stati creati. Con un punteggio di 3 a 1 possiamo essere contenti se segniamo il gol della bandiera.
Per rimanere in una metafora di tipo calcistico: Dio ci ha convocati, Dio ci ha allenati, Dio ci ha disposti in campo. Ora non ci rimane altro che giocare e onorare la maglia che indossiamo. Giocare bene e riportare la vittoria è, in primo luogo, motivo di gioia per chi è messo in campo e per chi sostiene i giocatori o le giocatrici. La gioia nel compiere bene il nostro compito è il primo e più alto premio a cui possiamo aspirare.
L’opera buona è un’opera individuale e anche collettiva. Non si segnano gol se non c’è un buon centravanti, ma nemmeno si segnano gol se tutta la squadra non collabora. L’opera buona, la vittoria, presuppone impegno da parte di più individualità che sappiano agire come soggetto unico per gioire assieme.
La società, ma più ancora la chiesa, andrebbe vista come una squadra in cui ci sono delle individualità con doni speciali e in cui il lavoro di gruppo fa premio nell’incoraggiarsi vicendevolmente, nel tendere assieme alla vittoria. La chiesa è il corpo di Cristo (1 Cor. 12) ed è la squadra che Dio convoca per conquistare la vittoria, per compiere quell’opera buona per la quale l’ha messa in piedi.