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Le note al di là delle ideologie

Perché più di una generazione mantiene Bob Dylan nel proprio immaginario

L’acceso dibattito legato alla morte di Dario Fo e all’attribuzione a Bob Dylan di quello stesso premio Nobel che anche Fo aveva vinto nel 1997 resterà senza soluzione. Anche io credo che le parole scritte dall’uno per i suoi spettacoli e dall’altro per le sue canzoni non vivano se non, appunto, sul palco, o trasportate da una voce molto particolare. La parola letteraria invece dovrebbe stare tra la carta e le infinite risonanze che provoca nella mente e nell’anima di chi la legge – ma forse alcuni di quelli che si sono indignati per questo premio sembrano più che altro pensare alla «propria» parola e ai propri manierati libri, e difendono una sorta di corporazione di intoccabili più che i diritti dei lettori.

Ritengo più interessante, oggi, che ci chiediamo perché nei confronti del cantautore non sia mai venuta meno una attenzione di ormai molti decenni. Il fatto è che le sue musiche – e i suoi testi, a volte ben tradotti, a volte intraducibili senza l’ausilio di note, a volte adattati a beneficio di gruppi giovanili – hanno accompagnato una lunga stagione di impegno che è poi rimasta orfana di quasi tutte quelle battaglie. Alcune si sono risolte in senso positivo: la guerra nel Vietnam è finita, i diritti degli obiettori di coscienza sono stati riconosciuti; ma sono venute anche le disillusioni: il Vietnam e la Cambogia. E, in Europa, il crollo delle speranze di una riformabilità dall’interno del socialismo reale: il ‘68 di Praga seppelliva questa possibilità, come era successo nel 1956 in Ungheria.

 

Cessano le battaglie, viene meno l’ideologia; restano le canzoni, su cui sono cresciute generazioni di studenti e di cadetti nei centri giovanili evangelici. Restano gli arpeggi e i rimandi a un momento, centrale per la maturazione dell’individuo, in cui si era in tanti e tante a seguire quelle chitarre. Nell’opera di Bob Dylan vi sono i testi più «politici» e quelli d’amore. Ma la distanza non è molta, perché chi ascoltava o cantava in coro riponeva in ognuno dei brani qualcosa di sé, l’aspettativa per la vita, per un futuro in cui la crescita individuale e la propria soggettività cercavano di sposarsi all’impegno, politico e cristiano insieme; con testardaggine e tanta generosità.

Crollato il contesto, giudicato dalla storia, dai tribunali e da molte coscienze, resta la bellezza dell’abbandono a quelle note, che parlano ancora. Forse tutto questo con la letteratura e il Nobel c’entra poco; ma è un bene che chi ha ora vent’anni o anche meno sappia che la realizzazione delle opere umane, anche percorse da nobili intenti, è sempre a rischio; e se gli evangelici hanno saputo, in genere, fare la tara alle presunte «albe di mondi nuovi» (perché la Bibbia li aiuta a relativizzare le umane pretese), è bello riscoprire che qualcuno ha saputo tradurre in note e parole le aspirazioni che sono state anche loro.

Foto By Rowland Scherman - U.S. National Archives and Records Administration, Public Domain, Link