Dopo tanto peregrinare, tra tavoli diplomatici, aeroporti e uffici consolari, lo spirito dei corridoi umanitari è tornato a Torre Pellice per raccontarsi nel tempio valdese. È stato questo il senso della serata del 22 agosto, «il lunedì pubblico del Sinodo» che ha riunito a testimonianza alcuni dei protagonisti di un viaggio insperato, cominciato il 15 dicembre 2015 con la firma del protocollo tra enti promotori e governo italiano; un’avventura lungi dalla sua conclusione, perché a fronte dei trecento arrivi dei mesi scorsi sono mille le anime che la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Tavola valdese e la Comunità di Sant’Egidio si propongono di sottrarre alla guerra per vie legali, con un regolare volo di linea.
Alternandosi ai piacevoli interludi del coretto di Torre Pellice, di fronte a una chiesa gremita si sono passati il microfono Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope MH (progetto Fcei di cui i corridoi rappresentano «solamente» un pilastro), Daniela Pompei della Comunità di Sant’Egidio, il pastore di Scicli e Pachino Francesco Sciotto, il deputato Luigi Lacquaniti, Jamal Makawi, cittadino siriano di Homs giunto in Italia dal Libano nel mese di maggio, e, prima della chiusura del moderatore Eugenio Bernardini, l’ospite d’eccezione: il giornalista Gad Lerner.
Nelle parole di Paolo Naso, quella dei corridoi umanitari è «un’avventura politica, umana e spirituale». Politica perché «siamo andati a chiedere ai ministri del nostro governo di fare qualcosa di mai fatto prima in Europa», umana e spirituale perché «è stato un viaggio nell’umanità del XXI secolo, un percorso negli abissi della nostra coscienza, un’avventura della fede. Per una volta – questa la promessa del coordinatore di MH – vi risparmio le tecnicalità del progetto, quello che stasera voglio raccontarvi è che facciamo tutto questo perché siamo credenti, perché ci hanno insegnato che il nostro prossimo è dovunque». Tra il politico e lo spirituale si è mossa anche la rappresentante di Sant’Egidio Daniela Pompei, che ha incentrato il suo racconto sullo sforzo di studio, anzitutto giuridico, che è stato profuso per superare quello che ha definito «il muro dell’impossibile mentale», ovvero le reticenze di una politica abituata a ragionare con altri criteri. Sulla tenacia e la pazienza che è richiesta dalla fede ha insistito a suo modo anche il pastore Francesco Sciotto, che dai campi profughi del Libano ha condotto l’uditorio in Sicilia, a visitare con il pensiero la «Casa delle culture» di Scicli, un’altra forma dello «spirito» di Mediterranean Hope: «una realtà d’accoglienza e d’integrazione i cui meriti sono oggi riconosciuti anche dalla questura di Ragusa; un tetto, anzi molto di più, che nel 2015 ha sottratto 500 profughi dal buio senza prospettiva dell’hotspot di Pozzallo. Un luogo – ha concluso il pastore di Scicli, muovendo dal salmo 107 – che offre un’occasione di riscatto e di predicazione, l’occasione di fare un pezzo di strada con persone che altrimenti non avremmo conosciuto». Dopo la raccomandazione politica di Luigi Lacquaniti – «non smettete di farci da pungolo!» –, che in un excursus sull’attualità ha descritto la Brexit come un preoccupante «no all’accoglienza e alla solidarietà», Gian Mario Gillio, coordinatore della serata, ha passato il microfono all’ospite d’onore.
«Ricordati in ogni generazione che fosti schiavo in terra d’Egitto». È su questo passo dell’Antico Testamento che Gad Lerner ha fondato un intervento empatico e amichevole – tanto, ha scherzato il giornalista, «tra minoranze religiose in Italia ci si intende». Dopo aver polemizzato con l’uso giornalistico dell’espressione «esodo biblico» – «un luminoso riferimento alla liberazione dell’umanità, rovesciata nel suo contrario» – Lerner ha preso la mira e ha scoccato la freccia al cuore dei presenti. Ovvero ai numeri: a quell’insopportabile, innegabile sproporzione tra i sommersi e i salvati. «Non la facciamo facile. Avete scelto di sfidare le allucinanti tariffe di monopolio che per troppo tempo abbiamo lasciato alle tratte criminali, ma quanto contano, di fronte alla tragedia della Siria, i mille che riuscirete a salvare? Mentalità ciniche e dissacranti – ha specificato Lerner – potranno descrivere come eccentrico e velleitario il tentativo dei corridoi umanitari. Altri invece, e io sono tra questi, laicamente credono alla profezia di queste lungimiranti posizioni di minoranza. Ferma restando l’esiguità numerica, io non esito a definire il vostro progetto profetico. Il credere è minoritario ma lavora sul futuro e si diffonde. Da qui si comincia, dal valore della profezia».
Sulla palla alzata dal giornalista, ha schiacciato, nel finale, il moderatore. Citando Bonhoeffer e Karl Barth, il quale, sulle macerie morali del nazismo, seppe chiedersi «come guariranno i tedeschi?», Bernardini ha parlato dell’«incredibile fortuna di essere cristiani» come della condizione di chi avverte dentro di sé la disponibilità al tentativo e all’ignoto. «Se oggi non facciamo questo, come guariremo?» è la domanda provocatoria che ha chiuso la serata.
Prima di allora, però, in un silenzio indimenticabile era intervenuto Jamal Makawi, cittadino siriano che oggi vive con la sua famiglia a Torino. Parole sincere, al contempo forti e pacate: parole di gratitudine. Un sentimento che ha volato e sorvolato sulle sigle degli «enti promotori» per andarsi a posare sull’Italia tutta: sul nostro paese, sulla terra in cui Jamal dice di sentirsi accolto. Se ai presenti è parso di comprendere l’arabo non è stato per l’eccellente lavoro dell’interprete Ranà, ma perché, a quanto pare, ciò che sgorga dalla pace tra gli uomini non ha lingua.
Foto Pietro Romeo