Meno numeri, più diffusi
10 agosto 2016
Soltanto un comune su quattro in Italia contribuisce all’accoglienza dei migranti. Secondo Biffoni, Anci, è necessario creare dei meccanismi premianti per aumentare la partecipazione
Come ogni anno, anche l’estate del 2016 ha riportato sulle prime pagine dei giornali il tema dell’immigrazione e quello dell’accoglienza. Con l’aumento degli sbarchi sulle coste italiane, dovuto in parte alle condizione meteo e in parte alla chiusura della “rotta balcanica”, che l’anno scorso era stata attraversata da quasi un milione di migranti e richiedenti asilo, si è tornati a parlare di questo tema secondo vari punti di vista.
Attraverso i dati presentati dal rapporto annuale 2015 dello Sprar, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, uscito il 13 luglio, e quelli forniti dalle Prefetture, è possibile notare almeno due livelli di squilibrio.
Da un lato, infatti, i richiedenti asilo e rifugiati gestiti attraverso le prefetture sono oltre 100.000, mentre le persone accolte nella rete Sprar, fatta di enti che volontariamente mettono a disposizione posti e progetti di integrazione, sono meno di un terzo, mettendo in luce una gestione ancora in gran parte emergenziale nonostante il fenomeno migratorio sia destinato a diventare strutturale in tutti i Paesi europei. Il secondo livello problematico discende da questo, ed è la scarsa distribuzione sul territorio italiano: sugli 8.000 Comuni che punteggiano il nostro Paese, infatti, soltanto 2.000 sono stati coinvolti nei progetti di accoglienza del ministero dell’Interno e gestiti dalle Prefetture.
Secondo Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato Anci all’Immigrazione, «è necessaria una maggiore distribuzione».
Il problema della distribuzione dell’accoglienza è reale?
«I numeri parlano abbastanza chiaro: in questo momento abbiamo sul territorio nazionale 120.000 profughi. Tanti? Pochi? Ognuno fa le sue valutazioni a seconda della sensibilità, sempre però tenendo conto che lo stiamo rapportando a un Paese di 58 milioni di abitanti. È ovvio che non è un tema né semplice né popolare, però esiste ed è fondamentale per la vita quotidiana dei nostri Comuni e lo diventerà sempre di più, perché sarà un fenomeno in grado di durare nel tempo. Dobbiamo organizzarci per affrontarlo nel modo più indolore possibile per le nostre comunità e più dignitoso possibile per le persone che arrivano».
Serve una maggiore redistribuzione sul territorio?
«Sì, ci vuole naturalmente una maggiore distribuzione. Meno numeri, più diffusi: questa secondo noi è una delle soluzioni più interessanti.
Certo, ci vuole un’organizzazione strutturata, nel senso che in questo momento i numeri ci parlano di uno squilibrio pesante: l’80% dell’accoglienza avviene in strutture prefettizie, a carattere emergenziale, mentre soltanto il 20% sta nel sistema Sprar. L'idea che stiamo portando avanti insieme al ministero dell'Interno è quella di ribaltare queste percentuali, per far sì che le persone entrino in un sistema che ha delle caratteristiche di organizzazione, strutturazione e servizi molto più solida».
Emergenza e organizzazione sono due parole chiave dell’accoglienza. Da amministratori locali state registrando un cambio di atteggiamento rispetto a qualche anno fa, quando l’unico approccio era quello emergenziale?
«Assolutamente sì, non c'è dubbio. L'organizzazione nel corso del tempo ha fatto passi in avanti e il ministero dell'Interno è molto più attento a questa questione. Ormai ci siamo resi conto che siamo uno dei punti di sbarco e continueremo ad esserlo per molto tempo, e nel frattempo dovremo riuscire a far ripartire i ricollocamenti in Europa, capire come attuare il migration compact, dare sostegno ai luoghi d'origine e risolvere la crisi in Libia. Ecco, in attesa di tutto questo dobbiamo continuare a strutturarci sempre meglio per gestire gli arrivi. Penso che un Paese come il nostro debba fare la propria parte, ma senza incidere allo stesso tempo sui territori che accolgono».
I territori che accolgono andrebbero coinvolti in un meccanismo premiante?
«L'abbiamo chiesto, l'abbiamo ribadito più di una volta: secondo noi è giusto e doveroso che chi sta facendo la propria parte veda riconosciuto il proprio impegno, per esempio attraverso agevolazioni di tipo fiscale, oppure con la possibilità di assumere al di fuori del turnover previsto per le pubbliche amministrazioni, soprattutto in quei settori coinvolti da questo tema, come servizi sociali, anagrafe e polizia municipale. Riteniamo sia giusto che sia individuato un sistema premiante che aiuta chi fa questo tipo di sforzi».
Che sia anche un meccanismo in grado di portare all'inserimento dei profughi nel tessuto sociale e lavorativo. Diritto a stare sul territorio e partecipare.
«Dobbiamo fare una scelta di campo molto importante e significativa: c'è da fare una valutazione su chi al termine del percorso di riconoscimento non ottiene uno status di protezione, e questa è la prima parte, e su questo c'è bisogno che questo Paese prenda una decisione. L'altro lato è che a un certo punto ci sono persone che arrivano nel nostro Paese e alla fine di questo percorso ottengono la protezione. Sui primi penso che non ci sia altra strada se non quella di un accompagnamento assistito fuori dalle strutture, anche se è molto complesso gestire tutta questa situazione così senza avere un sostegno vero, dall'altro lato chi resta qui e avrà un diritto di protezione e un permesso dovrà essere accompagnato in un percorso formativo che gli permetta di muoversi sulle sue gambe, quindi avere la conoscenza della lingua, del quadro giuridico in cui è, degli usi e abitudini del luogo, di tutti questi passaggi che gli servono per vivere tranquillamente in maniera più efficace possibile una vita che poi deve assolutamente diventare autonoma, quindi ci devono essere anche delle possibilità di formazione lavorativa, di riconoscimento di titoli di studio dove ci sono queste condizioni, insomma, ce ne sono molte di situazioni che ci potrebbero aiutare poi a gestire ulteriormente meglio i passaggi successivi, uno di questi è sicuramente la formazione.
Torniamo al piano proposto dal ministero dell'Interno di 2,5 persone ospitate ogni 1000 abitanti. In due parole, quella sarebbe una quota sostenibile per i Comuni?
Con alcune correzioni sì, sarebbe un percorso assolutamente percorribile che dà l'idea di una distribuzione complessiva nel Paese senza particolari pressioni su alcune zone, secondo noi ha assolutamente un senso lavorare da questo punto di vista, noi abbiamo fatto una proposta simile, ci abbiamo lavorato e devo dire che ci sembra la strada giusta su cui cominciare a lavorare e siamo piuttosto soddisfatti.