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Le strade tortuose

Nuova testimonianza da Ventimiglia, terra di confine dove l’Europa vive un’altra pagina da vergogna

Una pagnotta, una scatoletta di tonno, una mela e mezzo litro d’acqua: questo il contenuto del packet-lunch distribuito dai volontari ai migranti accampati all’esterno del nuovo centro accoglienza del Parco Roja. Se ad avere quel pasto fosse un bambino in gita con la classe delle scuole elementari si penserebbe subito a due genitori snaturati o ad un dietologo incompetente. A regime, si deve stare a regime. Il “dietologo”, in questo caso, si chiama Croce Rossa Italiana, nuovo gestore del centro aperto sabato scorso al Parco Roja e ospitante centottanta persone. Per gli altri, coloro che non sono potuti entrare o che preferiscono non farlo (fidarsi, per chi ha vissuto le prigioni libiche, non è cosa facile), una dieta ferrea che sciupa il corpo, la mente e l’anima.

La capienza del nuovo centro raddoppierà entro fine settimana, garantiscono Prefettura e CRI. Sarà, ma dopo tre settimane a Ventimiglia anche io - che le prigioni libiche per fortuna non le ho viste nemmeno in foto - di fiducia ne ho poca. Ogni mattina cercano di accedere alla nuova struttura circa cinquanta persone, confidando per lo più nei posti lasciati liberi da compagni partiti per la Francia durante la notte, ma la media giornaliera di effettive registrazioni è stata finora di una ventina. Gli ingressi dei nuovi ospiti sono gestiti con criteri a noi sconosciuti: orari, referenti a cui rivolgersi, tempistiche e disposizione dei posti letto non sono spesso comunicati ai migranti che vogliono registrarsi al campo, ma confidiamo nel fatto che dalla seconda settimana di apertura l’organizzazione migliori.

Intanto, nel “campo B” (ormai definito così dagli addetti ai lavori, anche se più appropriato sarebbe il nome “campo z”, viste le condizioni) a poche decine di metri da quello ufficiale, circa duecentocinquanta persone passano le loro giornate in un edificio dismesso privo di bagni e di acqua. Nonostante la richiesta di almeno due rubinetti ed un paio di bagni chimici presentata da Don Rito e da Caritas, fino ad ora le condizioni non sono cambiate, e forse solo un eventuale intervento della Protezione Civile potrebbe portare qualche risultato. La dislocazione fuori porta dei campi “A” e “B” non è di certo casuale, e come spesso accade le Autorità hanno preferito posizionare gli spazi di accoglienza lontano dal centro cittadino per non dover far fronte alle molte lamentele dei residenti. Lamentele gridate a gran voce dagli abitanti del quartiere Le Gianchette al Consiglio Comunale straordinario tenutosi ad inizio settimana sul tema migranti. Poco incisivo è risultato il discorso del Sindaco di Ventimiglia, Enrico Ioculano, che ha ribadito il disinteresse delle istituzioni e la difficoltà nel destreggiarsi fra i complessi garbugli legislativi europei: la richiesta di soluzioni pratiche e rapide da parte dei cittadini non si è placata. L’alternativa quindi è parsa una sola: destinare la chiesa di Sant’Antonio alle famiglie e alle donne ed aprire il campo in una zona periferica ed isolata. Soddisfatti gli abitanti, un po’ meno i migranti, che ogni giorno devono camminare più di sei chilometri per raggiungere il centro cittadino e gli uffici Caritas in cui chiedere abiti e kit igiene. Una strada tanto lunga, assolata e tortuosa quanto il percorso che dovrà obbligatoriamente portare ad una soluzione definitiva ed unanime; una strada in cui si perde facilmente l’orientamento, le energie si disperdono e le risorse scarseggiano, scarse forse più di una pagnotta, di una scatoletta di tonno e di una mela. Informazioni e offerte di collaborazione: [email protected]

Per contribuire all’acquisto di beni di prima necessità (cibo, vestiario...) da consegnare ai migranti bloccati a Ventimiglia si può fare un’offerta sul conto corrente della Diaconia Valdese intestato a:  
CSD Servizi di inclusione
IBAN: IT64T0335901600100000139674   -   BIC/SWIFT:  BCITITMXXXX
causale: "progetto Ventimiglia"

 

Foto: Francesca Pisano