Ustica, il tempo non cancella la patina sulla verità
28 giugno 2016
Sono passati 36 anni dalla notte del 27 giugno 1980, quando il volo Itavia si inabissò tra Ponza e Ustica, portando con sé misteri ancora irrisolti
«La verità è come il vetro, che è trasparente se non è appannato». Così cantava il cantautore romano Simone Cristicchi al Festival di Sanremo del 2010. Erano trascorsi 30 anni dalla strage di Ustica, di cui ieri si è ricordato l’anniversario, e che sembra calzare a pennello con quella definizione: della caduta del volo IH870, operato da un Douglas DC-9 della compagnia Itavia, sappiamo quasi tutto, ma ogni informazione è stata a lungo tenuta nascosta, occultata sotto patine ogni volta sostenute da mani differenti.
Nel frattempo sono passati altri sei anni, nei quali si è cercato di fare molto e si è ottenuto poco, arrivando al trentaseiesimo anniversario ancora una volta senza responsabili di fronte alla giustizia.
La notte del 27 giugno 1980 morirono 81 persone, di cui possiamo onorare la memoria attraverso gli oggetti personali e le storie conservate intorno al relitto dell’aereo nel Museo per la Memoria di Ustica a Bologna, ma a cui non è stato ancora possibile rendere giustizia.
Questo “mistero italiano”, uno dei tanti e uno dei più grandi per via delle sue implicazioni internazionali, ha visto alternarsi commissioni parlamentari, inchieste giudiziarie e giornalistiche, che finora si sono sempre dovute fermare di fronte a patine più ostinate, rendendo impossibile comporre quello che è un mosaico di verità, al plurale, in una verità, questa volta al singolare, che sia coerente per valore storico, giudiziale, politico e militare. «Per fare passi avanti verso una verità univoca e condivisa – spiega Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica – ci vuole coraggio e volontà da parte della politica».
Ieri ricorrevano i 36 anni dalla strage di Ustica, e abbiamo assistito a tutta la tradizionale serie di dichiarazioni dei politici e rappresentanti delle istituzioni che ribadivano l’urgenza di ricostruire la verità su Ustica. Sono solo dichiarazioni di facciata?
«Spero di no. Devo però dire di non essere d'accordo quando sento affermare che ci sia ancora molto da svelare e scoprire, perché non è vero: sappiamo quasi tutto. Ripensiamo al punto da cui siamo partiti nel 1980: all’epoca i militari dell’aeronautica che lavoravano nelle varie stazioni radar parlarono di cedimento strutturale, e lo riferirono anche ai ministri di turno, che riportarono questa tesi in Parlamento dicendo in sostanza che “gli aerei di tanto in tanto cadono”. In contemporanea, però, c'era già chi, come Andrea Purgatori del Corriere della Sera, parlava di un missile, perché già nella notte della strage un amico militare lo aveva chiamato per dirgli di tenere gli occhi aperti e di non credere alla tesi del cedimento strutturale. Già nel 1980 insomma si poteva avere la verità davanti agli occhi».
Ecco, invece cosa accadde?
«Un silenzio colpevole si abbattè sul caso perché si ritenne che la verità, quella ufficiale, fosse sufficiente e definitiva. Soltanto dal 1985 in poi, quando io e altri abbiamo cominciato a cercare la verità, ottenendo poi due anni dopo il “via libera” del governo al recupero del relitto, si è ricominciato a indagare. Furono prodotte centinaia di perizie, finché nel 1999 il giudice Rosario Priore disse che il DC-9 era stato “abbattuto all'interno di un episodio di guerra aerea”».
Insomma, la verità era davanti agli occhi di tutti già come minimo nel 1999, dopo un lungo percorso di insabbiamenti e depistaggi. A questo proposito, il mese scorso la Commissione Giustizia del Senato ha licenziato il testo di una nuova legge sul reato di depistaggio. Secondo lei sarebbe cambiato qualcosa se questo specifico reato fosse già esistito 36 anni fa?
«Purtroppo no, perché se il giorno dopo la strage qualche magistrato di buona volontà avesse fatto quello che poi ha fatto il giudice Priore a partire dal 1990 sarebbe stato diverso, ma non andò così. Quando sono arrivata io, nella seconda metà degli anni Ottanta, il giudice di turno stava archiviando il caso perché non avevano nominato nessuna commissione militare d'inchiesta e nulla, a parte quanto scritto da Purgatori, era ancora noto. Tutte le cose che avete sentito, magari attraverso lo spettacolo di Marco Paolini oppure ascoltando su Internet le telefonate che ci furono tra i vari siti radar degli operatori, sono emerse a partire dal 1990 in poi. Quello dei tempi è un problema da qualsiasi parte la si guardi: quelli che il giudice Priore rinviò a giudizio dal 1999 in poi per distruzione di atti e falsa testimonianza, oltre 60 persone, sarebbero stati anche accusati di depistaggio de il reato fosse esistito, ma comunque il problema sarebbe rimasto».
Come mai?
«Nel 2000 avrebbe dovuto aprirsi un processo nei confronti di questi 60 operatori dei vari siti radar che avevano distrutto tutte le prove possibili e immaginabili, ma i capi d'accusa ormai erano già prescritti. Nessuno degli accusati ha mai visto un giudice per un processo, visto che non si è mai potuti andare oltre la fase istruttoria. L’unica verità giudiziale è quella della sentenza ordinaria che rinvia a giudizio un operatore per aver distrutto la pagina dei tabulati radar del 27 giugno, addirittura a Poggio Renatico, sopra Bologna. Già sull'Appennino tosco-emiliano era noto che sotto la scia del DC-9 si nascondesse un altro aereo, e questa informazione venne occultata. “Una mano intelligente – diceva Priore – ha tolto tutto quel che poteva togliere per impedire la ricostruzione del fatto”. Per tutte queste persone poteva scattare anche l’accusa di depistaggio, ma comunque non credo che questo reato potrà avere, quando diventerà legge, un tempo di prescrizione superiore ai vent’anni, perché la pena sarà compresa tra 4 e 8 anni. Quello che va sottolineato è che non dobbiamo legarci troppo alle fattispecie di reato, pur importanti, ma dobbiamo considerare la velocità dei processi e delle indagini, un fattore che può permettere davvero alla giustizia di arrivare il prima possibile a decidere su chi è accusato di aver compiuto un reato».
Il 28 gennaio del 2013 una sentenza della Cassazione aveva condannato lo Stato a “risarcire le vittime” e affermava che la tesi del missile fosse “congruamente motivata”. Da allora in sede giudiziaria è stato fatto qualche passo avanti significativo?
«Le sentenze della Cassazione sono due, e proprio perché riconoscono la validità delle conclusioni del giudice Priore arrivano a condannare il ministero della Difesa e quello dei Trasporti. Quest'ultimo fu condannato perché non ha controllato a sufficienza i voli e la vita dei passeggeri, visto che c'erano tutti gli strumenti da parte di coloro che guardavano quel cielo, come dimostrerà un giudice successivamente, per vedere che c'erano altri aerei. Il Ministero parò di cielo “libero”, “vuoto”, mentre la Nato ha confermato la presenza di quegli aerei. Per questo motivo è arrivata la condanna a risarcire i parenti che ne abbiano fatto richiesta. Allo stesso modo, il ministero della Difesa è stato condannato per la distruzione di documenti, imputata certamente a singoli, ma che rispondevano alla Difesa.
A questo punto però la storia continua: i magistrati romani, che avevano riaperto in penale dal 2007, quando Cossiga aveva cominciato a raccontare la sua verità, e cioè che erano stati i francesi ad abbattere il DC-9, lanciarono una serie di rogatorie internazionali. Su alcune richieste i francesi hanno risposto, ma oggi tutto è di nuovo abbastanza bloccato».
In particolare quali nuove scoperte si sono fatte?
«Tra le cose che si sono fatte è stato possibile interrogare, gli avieri e il resto del personale della stazione di Solenzara, in Corsica, per vedere se era vero che avevano chiuso alle 17 come da precedenti risposte dei francesi e in contraddizione con quanto affermato da diversi ufficiali italiani, che sostenevano invece che si fosse lavorato tutta la notte. Ebbene, gli interrogatori fatti nel 2013 e nel 2014 hanno confermato che quel sito fu in servizio per tutta la notte. Di più la Francia non ha dato, non ha permesso di interrogare altro personale con cariche più alte e con responsabilità più elevate che avrebbero potuto dire anche che cosa si fosse fatto e come ci si fosse mossi quella notte. A livello di rogatorie quindi la Francia ha collaborato poco, gli Stati Uniti non hanno nemmeno risposto, il Belgio ha detto di non voler parlare di vicende che investono la sicurezza nazionale. Ancora una volta, quindi, la magistratura può arrivare soltanto fino a un certo punto: una volta fatte le rogatorie non ha altri strumenti e non può andare a pestare i piedi da nessuna parte».
La questione quindi va risolta in sede politica?
«Sì, in casi come questi solo la politica può arrivare alla verità: il governo deve chiedere con forza agli alleati di muoversi in maniera diversa, altrimenti rinuncia alla dignità nazionale. Vogliamo davvero lasciare, come abbiamo fatto per 36 anni, che qualcuno ci abbia abbattuto un aereo civile in tempo di pace senza aver pagato nessun tipo di conseguenza? Chi si è espresso in questi giorni, e penso soprattutto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, deve mostrare di sapersi attivare nei confronti della politica, affinché attraverso la diplomazia vengano poste domande precise ai Paesi presenti quella notte nei nostri cieli e si pretendano risposte precise. Quello che c'era di indicibile, e lo è ancora, è quello che doveva succedere quella notte. Si voleva uccidere Gheddafi, come disse Cossiga? Si voleva bloccare un trasporto di uranio, come affermano altri? L’unica certezza è che quanto accaduto non è quello che si dice dovesse succedere: è successo qualcosa di diverso, e da allora si è deciso di nascondere tutto».