Rischi per l’economia di qualità in Europa
09 maggio 2016
La manifestazione sul trattato di liberalizzazione transatlantico
È stata bella la manifestazione di sabato 7 maggio, a Roma, per dire no al Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip). Bella non solo perché è iniziata con la pioggia ed è finita con il sole, bella perché ricca di persone comuni, di giovani, veramente tanti, di colori e slogan ma soprattutto bella per la dignità con cui uomini e donne di questa Italia ancora molto contadina sfidano le segrete posizioni dei grandi per mantenere integro quello che a volte è solo un piccolo fazzoletto di terra.
Il Ttip è il trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico che ha l’intento dichiarato di modificare regolamenti e standard (le cosiddette «barriere non tariffarie») e di abbattere dazi e dogane tra Europa e Stati Uniti rendendo il commercio più fluido e penetrante tra le due sponde dell’oceano. Contadini, associazioni, Greenpeace, sindacati nazionali e di base, politici, tanti i presenti per dire stop a questo trattato che è stato negoziato tra Commissione UE e Governo Usa (lo scorso 2 maggio Greenpeace Olanda ha pubblicato 240 pagine di documenti della trattativa) e vuole costruire un blocco geopolitico «offensivo» nei confronti di Paesi emergenti come Cina, India e Brasile creando un mercato interno tra l’Europa e gli Stati Uniti le cui regole, caratteristiche e priorità non verranno più determinate dai governi ma modellate da organismi tecnici sovranazionali sulle esigenze dei grandi gruppi transnazionali. Le aziende possono citare gli Stati in tribunale.
Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Centro Italia, alla domanda «quanto sia pericoloso ciò che sta tra le righe oscure del Ttip», non ha dubbi: «… il Ttip è uno strumento esclusivamente di potere, voluto per proteggere investimenti di un certo tipo, tra cui quelli che riguardano il settore agro business della chimica. I cittadini degli Stati europei coinvolti devono pretendere negoziati aperti». E aggiunge: «… ce la possiamo fare perché il trattato non è concluso», e già le prime ripercussioni in forma di ricatto commerciale sono giunte sull’Italia dall’America, per la sua indolenza al rispetto dell’accordo. Onufrio infine vede un incoraggiamento nell’esempio di quanto accaduto a metà degli anni ’90 con il Multilateral agreement on investiment (Mai), un accordo bloccato, dopo che ne erano stati resi pubblici gli intenti, dal rifiuto netto senza alcun margine di discussione posto dalla Francia.
Mauro e Paola, contadini per scelta nel basso Lazio, ex ricercatori di Storia contemporanea, evidentemente abituati alle scelte difficili, sfilano per dire no all’uniformità agricola, agli ogm, alla sottomissione ai brevetti delle semenze, alla distruzione del territorio italiano e ai suoi meravigliosi confini naturali, dove la differenza tra una regione e l’altra la fa la grandezza di un ulivo piuttosto che la posizione di un vitigno o il colore dei campi. Dicono sì alla «filiera corta», al rapporto di fidelizzazione tra consumatore e produttore che è altresì consumatore del proprio lavoro, dicono sì alle attività familiari che garantiscono un «biologico» non certificato di cui si deve aver maggior fiducia, perché la qualità non è solo un’etichetta ma una modalità di coltivazione o di allevamento che è legata ad amore verso il prossimo, verso la terra, verso gli animali. È una posizione ferma la loro, onesta che parte dal concime e termina sulla tavola.
Il Ttip minaccia i diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente e la sicurezza alimentare, mette sul mercato sanità, istruzione e servizi pubblici, pone a rischio la qualità del cibo e dell’agricoltura e l’attività di gran parte delle piccole e medie imprese. Dati i rapporti di forza, trasforma l’Europa in un mercato di importazione di prodotti Usa mortificando l’economia del Continente che ancora si caratterizza per qualità e prevenzione della salute. Uno dei tanti motivi per i quali il trattato è pericoloso, a cui si può aggiungere il riscaldamento globale, in seguito all’incremento dell’interscambio atlantico.
In questi tre anni anche in Italia è nata e si è diffusa la campagna «Stop Ttip», costruendo – territorio per territorio – informazione, sensibilizzazione e mobilitazione sociale. Anche noi eravamo lì, come Commissione Globalizzazione e Ambiente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, con uno striscione dietro a cui anche altri manifestanti si sono fatti fotografare. In conclusione voglio sognare che dietro ai dati riportati da Greenpeace Olanda, ci sia una persona coraggiosa che abbia voluto avere la propria parte nel difendere il dono ricevuto da Dio, di cui tutti beneficiamo ora e di cui beneficeranno dopo se ne avremo cura.