La democrazia traballa se le minoranze non sono ascoltate
22 aprile 2016
Un commento a margine del rapporto di Rsf sulla libertà di espressione e di stampa
Secondo l'ultimo indice sulla libertà di stampa di Reporters sans frontières, l'Italia è piazzata al 77° posto su 180. Il nostro paese ha perso posizioni rispetto all’anno scorso, a causa del numero di giornalisti sotto protezione, di quelli sottoposti a giudizio e per le intimidazioni verbali o fisiche che subite nell'ultimo anno. La situazione peggiora in tutto il mondo e molti media italiani si sono stupiti dell'analisi sulla libertà nel nostro paese. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Giulietti, giornalista e presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana.
Cosa pensa di questo peggioramento?
«Rsf è un agenzia molto seria, il rapporto viene utilizzato dalle agenzie internazionali e denota un peggioramento dovuto anche all'inasprirsi delle guerre e del terrorismo, e dal fatto che molti paesi, anche in Europa, stanno realizzando uno scambio tra i diritti di libertà e la sicurezza. Quest'ultima si usa per approvare leggi bavaglio o restrittive del diritto di cronaca, da qui il progressivo peggioramento che ovviamente è diverso a seconda del continente e dello stato».
Nell'era della rete non è un paradosso?
«Un paradosso relativo, perché c'è una tensione continua. I mezzi tradizionali di comunicazione e la televisione, sono più esposti agli attacchi dei diversi governi e del terrorismo: molti giornalisti che sono stati uccisi in Siria, in Egitto o in Turchia sono giornalisti musulmani. Lo dico perché quando viene colpito un giornalista bianco occidentale ci indigniamo, ma dimentichiamo che sono morte decine e decine di colleghi di altra fede e di altro colore per battersi per le libertà. Dovremmo avere maggiore solidarietà nei loro confronti».
Parlando del continente europeo, anche qui si peggiora...
«Assolutamente sì. Dopo la manifestazione a Parigi, successiva all'orrenda aggressione alla redazione di Charlie Hebdo, sono state approvate delle leggi bavaglio: in Spagna, in Francia e ci sono stati diversi tentativi in Italia. Episodi gravissimi si sono consumati anche in Germania, dove è stato messo sotto accusa anche un comico tedesco da parte della Turchia: noi non esportiamo democrazia, ma gli altri riescono ad interferire nella libertà di informazione e di satira all'interno dei paesi europei. L'Europa ha anche al suo interno alcuni dei paesi più liberi, come la Finlandia, la Norvegia, la Gran Bretagna e altri che sono in ottime posizioni. Ma non c'è dubbio che questa situazione di tensione sta avendo delle ripercussioni nel nostro continente che assumono talvolta anche altri aspetti, come per esempio le grandi concentrazioni o fusioni, la scomparsa di molte radio e televisioni, di piccoli giornali. Questo aspetto non comporta né l'assassinio né il carcere, ma contribuisce a una progressiva riduzione dei punti di vista in tutta Europa, Italia compresa».
Per reprimere un'idea o un opinione non serve uccidere, le pressioni spesso portano all'autocensura
«Sì, basta ridurre i punti di vista. Per esempio togliendo voce a tante comunità religiose, etniche o scientifiche. Sono molti i modi di tagliare il pluralismo, non solo quello della violenza, ma anche quello di non rendere ascoltabili i punti di vista delle minoranze. Quando le minoranze non possono esprimersi, non c'è dubbio che l'ordinamento democratico sia a rischio».
Quanto c'entra tutto questo con il clima di terrorismo di questo momento storico?
«C'entra, perché quando tende a prevalere il dato della sicurezza, viene ridotta la possibilità di espressione, di circolazione delle persone, delle opinioni, in virtù di un controllo e una protezione maggiore. Questa è un'antichissima dialettica, ma proprio per questo chi si occupa di difesa dei diritti umani, politici e sociali non deve accettare questo scambio: se è noto l'avvio del percorso, quasi mai è nota la conclusione, che in genere non porta ad un ampliamento delle libertà».
Come si esce da questa dimensione?
«Non rassegnandoci e non accettando come naturale questo stato di cose, o l'idea che i diritti si possano ridurre, continuando come giornalisti a fare il proprio mestiere, tentando di illuminare le periferie, di andare oltre il regime dei segreti: la cosa peggiore è assuefarsi a questo clima ed entrare in uno stato di autocensura e rinunciare alla battaglia delle libertà fondamentali ed essenziali. Sarebbe un cedimento pauroso ai signori della guerra e del terrorismo, perché uno degli obiettivi dei fondamentalismi e dei terrorismi di ogni colore è proprio che si accetti la rinuncia ai diritti».