Numero minimo per ottenere un Ministro di culto, spiragli di cambiamento
15 aprile 2016
La proposta di ordine del giorno del senatore Malan accolta ieri in Commissione Affari Costituzionali
Quella contro il numero minimo di fedeli per potere ottenere un Ministro di culto è una delle battaglie condotte in questi anni dal senatore di Forza Italia, evangelico di confessione, Lucio Malan. E nella giornata di ieri pare essersi aperto finalmente uno spiraglio che possa portare ad una soluzione di una questione che rischia di coinvolgere molte comunità di fede, non solo protestanti o evangeliche, ma anche cattoliche.
In sostanza un parere del Consiglio di Stato del 2012 indicava in 500 il limite minimo di fedeli necessari perché una comunità potesse avere diritto ad ottenere un Ministro di culto, prete o pastore che fosse. Da allora è iniziata la battaglia di Malan contro una norma che come sottolineato dallo stesso senatore «è peggiore di quelle approvate durante il fascismo. Nemmeno la legge del 24 giugno 1929 sui culti ammessi, non certo particolarmente libertaria, prevedeva numeri minimi di fedeli perché si potesse ottenere una guida spirituale della comunità».
Poco chiaro nella sentenza del Consiglio di Stato appare anche il passaggio che vincolerebbe l’approvazione della nomina al fatto che vi sia un luogo di culto delle confessione nel Comune di residenza dello stesso Ministro di culto: in sostanza si ad un prete o ad un pastore se in quel comune vi è un luogo di culto. Ma per molte confessioni minoritarie il pastore abbraccia i fedeli di più Comuni, sia a causa della dispersione sia per le dimensioni più esigue delle comunità di fede differenti da quelle cattoliche. Che potrebbero a loro volta pagare dazio, con questo parere, ad esempio nelle valli valdesi dove alcune comunità cattoliche non raggiungono i 500 fedeli e rischierebbero in questo modo di perdere il diritto ad avere un prete.
Il governo ha approvato con alcune modifiche il testo presentato dal senatore Malan in commissione Affari Costituzionali che chiede proprio di «riconsiderare una riduzione dei limiti numerici di fedeli tenendo conto dei diversi criteri di aggregazione delle confessioni religiose sul territorio, e in ogni caso a non porre questo limite minimo a 500».
Testo integrale dell’ordine del giorno presentato in Commissione
Il Senato, nel corso dell’esame dell’articolo 4 del disegno di legge A.S. 2192,
premesso che:
la legge 24 giugno 1929, n. 1159 sui “culti ammessi”, non certo particolarmente libertaria, come suggeriscono la data di approvazione e il titolo, e come è dimostrato dal fatto che vari articoli sono già stati dichiarati abrogati dalla Corte costituzionale, stabilisce all’articolo 3 che le nomine dei ministri dei culti diversi dalla “religione dello Stato” (tale all’epoca era la religione cattolica) debbono essere notificate al ministero dell’interno per l’approvazione, senza prevedere limiti numerici rapportati al numero di fedeli, ma affidando a detto ministero una discrezionalità che, anche alla luce della Costituzione, può ritenersi opportuna per evitare che la qualifica di ministro di culto possa essere usata per fini diversi e pericolosi;
anche il regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, che dettaglia le diverse prerogative dei ministri di culto, non pone alcun limite numerico;
mai, neppure durante il regime fascista, era stato imposto un numero minimo di fedeli per l’approvazione ministeriale della nomina;
alcuni anni fa, invece, il Ministero dell’interno ha sospeso del tutto l’applicazione della legge citata, in ragione del fatto che aveva richiesto un parere al Consiglio di Stato sull’opportunità di stabilire un numero minimo di fedeli per avere diritto all’approvazione di un ministro di culto;
dopo molti mesi di attesa, è giunto il parere del Consiglio di Stato, secondo il quale non solo va imposto un numero minimo di fedeli per ottenere l’approvazione di un ministro di culto, ma tale limite va fissato in 500, in asserita analogia alle più piccole parrocchie cattoliche con sacerdote residente;
tale limite è del tutto incongruo poiché: a) rischia di ridurre l’opportuna discrezionalità dell’approvazione in presenza del citato numero di fedeli, anche nel caso in cui, ad esempio, l’aspirante ministro di culto sia sospetto di incitamento all’odio e alla discriminazione; b) parametrare le minoranze religiose ai numeri della confessione che raccoglie la vasta maggioranza degli italiani, è irragionevole e manifestamente discriminatorio; confessioni religiose che nella migliore delle ipotesi hanno in Italia un numero di seguaci centinaia di volte inferiore a quelli della Chiesa cattolica, li vedono necessariamente dispersi in aree centinaia di volte più ampie e la loro cura necessita di un lavoro assai più grande; c) anche la Chiesa cattolica ha comunità che comprendono meno di 500 fedeli; il fatto che molte di queste vengano curate da un sacerdote non residente non significa nulla, anche perché in molte confessioni il ministro di culto svolge anche un lavoro ordinario e pertanto non può dedicarsi alla sua comunità a tempo pieno, proprio come un sacerdote “non residente”; particolarmente significativa la situazione della diocesi di Pinerolo (Torino), che comprende alcuni comuni dove i cattolici sono in minoranza, caso unico in Italia, a causa della forte presenza valdese: in quest’area esistono parrocchie in comuni di poche centinaia di abitanti, fra i quali i fedeli cattolici sono minoranza, dunque ben al di sotto dei 500; d) le confessioni religiose che hanno stipulato intese con lo Stato ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione hanno generalmente un numero di fedeli per ministro di culto assai inferiore a 500: l’Unione delle chiese valdesi e metodiste, la prima a firmare un’intesa, ha oggi circa 19.000 membri di chiesa adulti e un centinaio di pastori con la qualifica di ministri di culto, con una media di non più di 200 membri per ministro, media che scende di parecchio se si esclude la piccola area piemontese dove l’antichissima confessione vede concentrata la metà dei suoi fedeli, con l’altra metà dispersa in tutto il resto del Paese;
considerato che:
il 10 settembre 2015, il sottosegretario all’interno dottor Domenico Manzione, rispondendo nell’Aula del Senato a un’interrogazione in merito al limite numerico recentemente imposto, specificava che tale limite era “anche frutto di diversi pareri resi dal Consiglio di Stato all’amministrazione dell’interno in merito alle verifiche da compiersi in sede di rilascio dell’approvazione circa la sussistenza di determinati elementi soggettivi e oggettivi in relazione al richiedente e alla sua confessione di appartenenza”, precisando che “tali elementi consistono nella presenza di un luogo di culto nel Comune di residenza del ministro, nella consistenza numerica della comunità di fedeli, nella cittadinanza italiana del ministro medesimo e nella sua affidabilità, serietà e moralità”;
vincolare l’approvazione della nomina al fatto che vi sia un luogo di culto della confessione nel comune di residenza dello stesso ministro è totalmente ingiustificato, poiché il nucleo base delle confessioni minoritarie, equivalente alla parrocchia cattolica, a causa della dispersione sul territorio, corrisponde quasi sempre a un insieme di comuni e non c’è ragione alcuna perché la residenza del ministro di culto debba coincidere con il comune in cui si trova il luogo di culto;
ritenuto che tali vincoli siano incompatibili con l’uguaglianza fra i cittadini nell’esercizio della loro confessione religiosa, non giustificati da alcuna ragione, tanto meno da questioni di sicurezza;
impegna il Governo:
a riconsiderare una riduzione dei limiti numerici di fedeli per l’approvazione dei ministri di culto, tenendo conto dei diversi criteri di aggregazione delle confessioni religiose sul territorio, e, in ogni caso, a non porre questo limite minimo a cinquecento.