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Cittadini senza politica, politica senza cittadini

Quale futuro per la democrazia rappresentativa? L’ultimo libro di Valentina Pazé fornisce una preziosa bussola per orientarsi in un dibattito contemporaneo 

A cosa servono le elezioni, i rappresentanti, i partiti, la partecipazione? Insomma a cosa serve la democrazia? Sono queste le domande che non assillano quelli che Valentina Pazé ha definito «cittadini senza politica». Nell’Italia spaventata dall’emergenza migratoria, dove «presidenti operai e sindaci in bicicletta» hanno inventato un presidenzialismo negato per Costituzione, il contrario storico di «cittadino» – colui che contribuisce a fare le regole a cui è soggetto – non è più «suddito» ma «extracomunitario». Soprattutto negli ultimi anni, governi avvezzi all’esautorazione del Parlamento nel nome de «gli unici provvedimenti possibili» hanno allontanato sempre più persone dalle urne e dai partiti, dalla polis. Ma se gli italiani non rivendicano più la loro dimensione pubblica, a sua volta anche la politica rischia di rimanere «senza cittadini». Come uscire da questo preoccupante circolo vizioso?

Nonostante le premesse critiche, il saggio di Pazé non è, attenzione, il solito spiegone del costituzionalista scandalizzato dalle cattive prassi della democratura (un neologismo di moda che l’autrice si guarda dall’utilizzare). No, quest’agile volumetto è tutto il contrario: una bussola, colta e divulgativa, che mette ordine nell’attualità origliata nel quotidiano, tra «il cinemino e la pizza» del cittadino comune lieto di distrarsi. Sì, perché gli argomenti dell’autrice – non privi di passione civile e d’analisi personale – non sono né accademici né militanti, ed è proprio questo il loro primo merito. Prendendo in seria considerazione «la possibilità che non tutti siano interessati a esercitare i diritti politici di cui sono formalmente titolari» – ipotesi inaccettabile per i rivoluzionari novecenteschi come per gli odierni guru della «democrazia dal basso» –, Pazé ci accompagna, insieme ai filosofi greci che lei ha ben letto, nelle profonde logiche della democrazia rappresentativa: un’invenzione di cui, a suo giudizio, dovremmo avere più cura. Il monito, ovviamente, non è diretto solo agli sciapi interpreti di una politica oggi intesa come potere, ma altrettanto a coloro che proclamandosi «oltre il vecchio» pretenderebbero di averlo riformato.

È in questa seria, pacata , ragionata critica trasversale che risiede il secondo merito dell’opera. Relativamente all’attualità, Pazé non fa mistero delle proprie opinioni personali – soprattutto nel capitolo conclusivo, dedicato al fallimento europeo dell’alternativa fugacemente incarnata da Alexis Tsipras – ma la disamina dei percorsi d’evoluzione (o d’involuzione) della democrazia rappresentativa è guidata «soltanto» dalla profonda coscienza costituzionale della scrivente. A ben vedere, tutta la trattazione è costruita su una fondante dicotomia filosofica. A una democrazia «immediata o d’investitura» (votare per sapere chi ha vinto) animata da partiti «elitistico-elettoralistici» (da Forza Italia al Partito della Nazione) Pazé contrappone una democrazia «mediata o d’indirizzo» (votare un’assemblea proporzionalmente rappresentativa) che si realizzi nella competizione sana di partiti «rappresentativo-deliberativi» (partiti democratici, dentro). Il primo è il modello enunciato da Schumpeter in Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), la seconda è la risposta parlamentare di Kelsen, per il quale in democrazia il voto non decreta un vincitore ma conferisce legittimazione nuova a una verità politica capace di emergere dopo, dalla deliberazione di un’assemblea rappresentativa.

Senza nascondere di parteggiare per il secondo sistema (parlamentare e proporzionale), l’autrice è abile nel collocare le opzioni attualmente al vaglio all’interno di questi due estremi. L’Italicum, la riforma del Senato e più in generale il Pd di Renzi propendono evidentemente per il «modello Schumpeter», ma non per questo gli attuali avversari politici di quelle riforme difendono il «modello Kelsen». Emblematiche, in tal senso, le obiezioni che dal punto di vista democratico vengono mosse alle proposte del Movimento 5 Stelle: ad esempio al cosiddetto meccanismo di racall, in palese contraddizione con la battaglia pentastellata per una legge elettorale di stampo proporzionale. L’idea di un mandato imperativo – spiega l’autrice – non è di Grillo, fu di Rousseau e Marx; se tutte le costituzioni della modernità hanno scartato quest’opzione è perché «la formazione di una realtà collegiale unitaria è logicamente incompatibile con la soggezione dei rappresentanti a rigidi vincoli». Come può un’assemblea proporzionale dare un esito democraticamente viola se, atomizzati dal vincolo di mandato, singoli eletti rossi rifiuteranno il compromesso con singoli eletti blu? Una buona domanda, che nessun giornalista ha mai posto a Di Maio o a Di Battista.

Così, paginetta dopo paginetta, con la semplicità di un italiano splendido, Pazé fa emergere gli equivoci, le contraddizioni, le ignoranze che in materia di democrazia i «politici senza cittadini» propinano ogni giorno ai «cittadini senza politica». Non temete, ce n’è per tutte le facilonerie odierne: dal liquid feedback dei Piraten tedeschi, un sistema che ignora gli inconvenienti dalla natura umana (a cominciare dall’incostanza), agli esponenti del seppur importante fronte della «democrazia deliberativa», per i quali persone informate e in buona fede non potranno che giungere a una sintesi virtuosa; dalla «democrazia fondamentalista» dei populismi, certi che la sovranità appartenga al popolo ma dimentichi delle «forme e dei limiti della Costituzione», alle primarie del Partito Democratico, lungi dal preservare il partito da involuzioni oligarchiche; dall’insulsa distinzione tra vero e falso in politica (quando un interesse, un ideale, una concezione del mondo è vera? Quando falsa?) al mito del carattere diretto dei referendum propositivi, i cui quesiti sono comunque scritti da una mano sola; dagli illusori lampi di risveglio delle primavere arabe, di Occupy Wall Street, degli Indignados spagnoli, dei cittadini greci, al disinteresse dei poveri del mondo, per i quali la politica è una «forma d’intrattenimento della classe media, da cui non aspettarsi nulla».

Insomma, un piccolo, densissimo libro. Che senza idealizzare il passato e senza disperare sul futuro pone con serietà la questione democratica che è sotto i nostri occhi. La soluzione? I buoni saggi non la danno mai. Ma la Pazé punta il suo dito sugli uomini in società. Perché politicamente l’individuo non esiste. E perché, ce lo insegna Bobbio, resistenza e rivoluzione sono due diritti costituzionali, garantiti implicitamente dalla Carta che avemmo il merito di conquistare per noi stessi.

Foto Di Presidenza della Repubblica, Attribution, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38210179