Una salutare lezione di vita
29 febbraio 2016
Un giorno una parola – commento a Geremia 10, 24
Signore, correggimi, ma con giusta misura; non nella tua ira, perché tu non mi riduca a poca cosa!
Geremia 10, 24
È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recar gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa
Ebrei 12, 11
In Pane nero, una delle novelle di Giovanni Verga, compare Nanni implora il medico che sta scrivendo la ricetta: «Almeno, vossignoria, scrivetela corta, per carità!».
Geremia sembra avanzare una richiesta simile, riguardo al castigo imminente che stava per abbattersi su Giuda: «Almeno, Signore, non troppo duro, per carità!». Cosa c’è di più profondamente umano di questo? Geremia sapeva che la punizione era meritata, che i sovrani di Gerusalemme avevano tradito il loro ruolo di garanti del patto e che il popolo era stato infedele a Dio. Lo aveva denunciato e li aveva ammoniti inutilmente. Eppure, di fronte alla catastrofe incombente, si appella alla misericordia dell’Eterno: «Correggimi, ma con giusta misura» (Ger. 10, 24). Cioè: non punirci in modo proporzionale alle nostre colpe, ma tenendo presente la nostra umana fragilità. Come un bambino non può sostenere la pena comminata a un adulto, così gli uomini e le donne di Giuda non potevano reggere davanti alla giustizia di Dio.
Ora, caro lettore e cara lettrice, non è così anche per te? Non avviene così per tutti noi? Nel chiuso della nostra cameretta, sappiamo chi siamo: come individui, famiglie, comunità. In pubblico possiamo atteggiarci: fingendo, pretendendo, dissimulando, ma nel nostro cuore sappiamo di essere persone inevitabilmente fallaci, incostanti e inclini all’errore, al peccato… Cose che non hanno scuse o attenuanti e meritano una riprensione e una sanzione… E tuttavia, «sperando contro speranza» (Rom. 4, 18), ci rimettiamo alla «clemenza della corte».
Soltanto la piena consapevolezza delle nostre mancanze e il riconoscimento dell’equità della sentenza di Dio, possono trasformare quella che rimane un’esperienza sgradita e spiacevole, in una salutare lezione di vita. Una «lezione» che è diversa da individuo a individuo, ma che per tutti ha un denominatore comune: «Il Signore è pietoso e clemente, lento all’ira e ricco di bontà» (Sal. 103, 8).