Torino laica, Torino multireligiosa
10 febbraio 2016
Firmato ieri pomeriggio uno storico “patto civico” tra autorità cittadine e comunità musulmana. Un modello di convivenza civile destinato a fare scuola
Su invito del sindaco Piero Fassino e dall’assessora all’integrazione Ilda Curti, ieri pomeriggio i delegati di venti centri culturali islamici (in rappresentanza di 35.000 fedeli) si sono riuniti a Palazzo Civico per firmare un solenne “patto di condivisione”. Le prime righe di quest’insolito accordo recitano:
Torino è la nostra città e ne condividiamo il presente e il futuro. I nostri figli crescono insieme ed è a loro che pensiamo nel promuovere ogni possibile occasione che renda tutti cittadini attivi, interessati al bene comune nel rispetto delle differenze religiose, di origine nazionale, di genere, di cultura. L’articolo 3 della Costituzione rappresenta il principio in cui tutti ci riconosciamo, sentendoci tutelati e rispettati e, nello stesso tempo, muovendoci alla comune responsabilità di renderlo vivo e praticato.
Un’idea, quella di un patto scritto, che il comune di Torino ha portato avanti dall’anno scorso; un’intesa messa nero su bianco attraverso un reale percorso di stesura “a quattro mani”, che ancor più del documento in sé rende evidente lo sforzo che autorità cittadine e comunità musulmane hanno profuso per “ri-conoscersi meglio”.
«Sappiamo tutti che questo patto nasce sull’onda dell’emozione e della preoccupazione dopo i fatti di Parigi – ha premesso, nel suo rapido intervento, il sindaco Fassino – da lì è venuta la necessità di rafforzare ogni politica di coesione per contrastare insieme chiunque si opponga ad una società amicale. Il patto vuole rendere evidente all’opinione pubblica l’importanza di uno sforzo comune». «Non è un atto politico isolato, noi lavoriamo da anni al modello Torino – gli ha fatto eco Ilda Curti – quello che oggi ratifichiamo sulla carta è un percorso condiviso. Un patto di condivisione e di cittadinanza, un patto caldo perché scritto insieme». Come ricordato dall’assessora all’integrazione, altre iniziative, altrettanto importanti, hanno accompagnato la stesura del testo: dalle giornate “moschee aperte” – «un momento cittadino per ora ancora episodico, fatto di reciproci scambi di auguri per le feste tra moschee e parrocchie, ma per il quale andrà individuata una giornata specifica» – alla cosiddetta «bacheca di cittadinanza», un progetto editoriale portato avanti da una redazione di venti ragazzi, uno per associazione.
In sala, all’atto della firma, erano presenti alcuni di questi giovani volontari: Assia e Salaheddine Samine, Sara Briniche, Anass Hanafi, Abdelgani Errfig – tutti ventenni – erano orgogliosi della loro città e unanimi nel definire «storica» la giornata del patto. Mentre Assia e Briniche mi hanno illustrato il funzionamento della bacheca – un foglio bilingue indirizzato a tutta la cittadinanza torinese, religiosa e non, che ogni mese sarà appeso fuori dal comune e dalle moschee per promuovere le attività della comunità islamica – Anass mi ha intrattenuto sulla dimensione privata della fede, avventurandosi in un simpatico parallelo tra religione e calcio. Interrogati su cosa pensino dell’espressione “islam moderato”, i ragazzi hanno risposto all’unisono con un sorriso. «L’islam è l’Islam, ed è pace», ha puntualizzato Sara, con l’espressione pudica di chi è costretto a ripetere un’ovvietà.
Dei 150.000 torinesi di origine straniera un terzo proviene da paesi a maggioranza islamica. Torino è dunque da tempo una città multicultrale e multireligiosa: si pensi al Comitato Interfedi nato in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006, in cui, peraltro, trovano rappresentanza anche le chiese evangeliche, o alla festa di Eid-Al-Fitr con cui si chiude il digiuno del Ramadan, che da almeno otto anni è aperta ai saluti del sindaco e delle altre fedi. Senza inventare nulla, il patto siglato il 9 febbraio tra comunità islamiche e municipio non ha fatto che raccogliere e fissare queste esperienze positive. Se sotto la Mole l’integrazione civica e il dialogo interreligioso sono davvero il pane quotidiano, la vera notizia è che altri comuni come Firenze, Milano, Reggio Emilia e Modena hanno richiesto il testo del documento, candidando il “modello Torino” a modello nazionale.