Il nostro Amen alla gloria di Dio
18 novembre 2015
Un giorno una parola – commento a II Corinzi 1, 20
Io farò con loro un patto di pace: sarà un patto perenne con loro
(Ezechiele 37, 26)
Tutte le promesse di Dio hanno il loro “sì” in lui; perciò pure per mezzo di lui noi pronunciamo l’Amen alla gloria di Dio.
(II Corinzi 1, 20)
«Amen», una parola consueta che fa parte del rituale della preghiera, pronunciata interiormente e talvolta ad alta voce nelle preghiere comunitarie. Segna la fine della preghiera; è un po’ come il punto finale. Ma perché l’apostolo Paolo la carica di un significato così profondo e importante?
Diciamo intanto che – pur entrata nel nostro linguaggio – non appartiene al nostro vocabolario: viene dall’ebraico e si ritrova in vari Salmi, dove significa «è vero», «è proprio così»… Esprime non solo un generico consenso, ma una certezza profonda e impegnativa. Nel Nuovo Testamento, anziché alla fine, si trova all’inizio di molti detti di Gesù: significa che la sua parola è vera e certa.
Detta da noi, a conclusione di una preghiera di lode o di aiuto significa che non dubitiamo di essere stati ascoltati dal Signore ed anche esauditi. Ma come? In Cristo. Perché lui è il «sì» di Dio. In lui, infatti, vediamo il perdono delle nostre colpe, la guarigione delle nostre malattie e perfino la vittoria sulla morte.
La preghiera non è una lista di cose che Dio deve fare per noi, o al posto nostro. Né dobbiamo ricordare a Dio (quasi fosse smemorato o distratto!) che ci sono tante cose da fare. Dobbiamo invece sempre e di nuovo ricordare a noi stessi e prendere consapevolezza che viviamo all’interno di un «patto eterno di pace» (shalòm) che in Cristo abbraccia l’umanità intera e la sua storia che nessuna potenza del mondo o tragedia potrà mai annullare. Perciò pronunciamo riconoscenti e fiduciosi il nostro Amen alla gloria di Dio.