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Carson, un avventista alla Casa Bianca?

Per la prima volta Donald Trump scavalcato nei sondaggi dall’ex chirurgo afroamericano

Per la prima volta vacillano le certezze di Donald Trump, fino ad oggi il candidato più forte fra le file dei conservatori repubblicani in vista delle elezioni presidenziali statunitensi del prossimo anno.

Un sondaggio pubblicato ieri dal quotidiano New York Times attesta infatti un 22% di preferenze per il miliardario gaffeur, all’ennesimo tentativo di corsa verso la Casa Bianca, superato dall’ex chirurgo di fama mondiale Benjamin “Ben” Carson che sale fino al 26% dei consensi.

Carson, divenuto celebre a livello mondiale nel 1987 per essere stato il primo medico al mondo a separare con successo due gemelli siamesi uniti per la testa, tanto da venir in seguito celebrato da ben 61 lauree Honoris Causa, è rappresentante dell’ala più oltranzista del partito dell’elefante, ed è il candidato ideale per i membri del Tea Party, la corrente a destra della destra repubblicana.

I galloni se li è guadagnati sul campo in un celebre discorso datato 2013 in cui attaccò pesantemente il presidente Barack Obama in relazione alla riforma sanitaria in atto, definendola una nuova forma di schiavitù.

A differenza di Trump e dell’altro papabile concorrente repubblicano per la poltrona presidenziale, Jep Bush, fratello e figlio di due presidenti, Carson non può contare su immensi fondi economici, figli di relazioni decennali in ambiti imprenditoriali per quel che riguarda Trump, e di azioni di lobby politico affaristiche per quel che riguarda la potentissima famiglia di petrolieri texani, il cui ultimo rampollo non pare però scaldare l’elettorato.

E soprattutto ha una caratteristica che farà storcere il naso alla base del partito, quella radicata nella cosiddetta America profonda, contadina e reazionaria: è nero, e per chi ha fatto della questione razziale uno dei capisaldi della battaglia anti Obama non è proprio il massimo.

Non è musulmano, ma insiste nel dire che Obama lo è, sottolineando l’abominio di un presidente a stelle e strisce di fede islamica. Nemmeno le pesanti accuse di razzismo che lo hanno travolto dopo queste dichiarazioni lo hanno stoppato, anzi, ne hanno garantito il lasciapassare negli ambienti più ostili a Barack.

E’ invece membro della Chiesa avventista del settimo giorno, anche se questa in qualche modo si è smarcata con una dichiarazione ufficiale che recita: «Negli Stati Uniti sono iniziate le campagne elettorali per le presidenziali del 2016 e la Chiesa Avventista del Settimo Giorno è consapevole del crescente interesse per la candidatura del dottor Ben Carson. La storia del dottor Carson è nota alla maggior parte degli avventisti, essendo un medico molto stimato. La Chiesa avventista ha una tradizionale posizione di non sostegno o non opposizione a qualsiasi candidato alle elezioni. Mentre i singoli membri di chiesa sono liberi di sostenere o contrastare i candidati alle elezioni come meglio credono, è fondamentale che la Chiesa in quanto istituzione rimanga neutrale. Si deve fare attenzione che il pulpito e tutte le proprietà della chiesa rimangano uno spazio neutrale quando si tratta di elezioni. I dipendenti della Chiesa devono anche avere estrema cura nel non esprimere opinioni nella loro veste confessionale sui candidati alle cariche elettive, tra i quali il dottor Carson. Vogliamo anche ricordare ai nostri membri di chiesa, ai pastori e agli amministratori la posizione ufficiale della Chiesa avventista di separazione tra Chiesa e Stato. La Chiesa lavora attentamente per difendere i diritti religiosi di tutte le persone di fede, non importa quale sia la loro appartenenza confessionale».

Frecciatine nei confronti dell’ex medico, che non perde occasione per ribadire la sua profonda fede.

Contrario alle unioni fra persone dello stesso sesso, da lui paragonate alle peggiori perversioni, creazionista, eppure credibile per la capacità di eloquio, l’eleganza nel portamento e davanti alle telecamere, la capacità di motivare a fondo ogni singola posizione. In questi giorni ha ricevuto un endorsement di estrema importanza da parte del magnate delle telecomunicazioni Rupert Murdoch che lo ha definito «un super americano e un super afro-americano a differenza di Obama, cresciuto in Indonesia da un patrigno msulmano».

Come sempre nelle elezioni americane la differenza la faranno i denari, sempre più necessari in quello che è diventato un carosello impazzito di tour, incontri, ma soprattutto di spot da riversare sui canali televisivi.

E su questo fronte Trump e Bush partono con una dote almeno dieci volte superiore, secondo le stime degli analisti. Anche se le campagne di raccolta fondi messe in atto dall’entourage di Carson stanno dando frutti insperati.

La battaglia fra le file repubblicane per individuare lo sfidante di Hillary Clinton, che sarà la probabile candidata dei democratici, è quindi più che mai aperta.

Foto "Ben Carson at CPAC 2015" di Gage Skidmore. Con licenza CC BY-SA 2.0 tramite Wikimedia Commons.